Russia, Turchia, Iran e la crisi siriana
L’impegno della Russia putiniana in Siria, ufficialmente per combattere l’ISIS, ha dimostrato che si è sempre più in un mondo multipolare. In particolar modo grazie anche al graduale disimpegno dell’amministrazione Obama dal Medio oriente. La ritirata della “potenza” americana favorisce un maggior attivismo dei principali attori regionali. In primis la Turchia, la quale, perseguendo da più di un decennio il “neo ottomanesimo”, ambisce ad un ruolo da protagonista medio orientale. Simbolo di tale politica è il presidente Erdogan.
La recente crisi russo-turca sulla Siria è emblematica di questo nuovo scenario internazionale. Da una parte la Russia di Putin, incline tuttavia a non disdegnare dimostrazioni muscolari, si è resa conto di non aver la forza militare necessaria per azioni unilaterali al di fuori dello spazio post-sovietico mentre dall’altra parte la Turchia, conscia della fine del precedente attivismo americano, ha mostrato come sia imprescindibile Ankara da una concreta dialettica sulla crisi siriana. Ciò nonostante la Russia, la quale grazie al presidente Putin si è ripresa dalla crisi eltsiniana, rimane un soggetto indispensabile della politica estera.
Tra settembre e ottobre 2015 Mosca formalizza il proprio intervento in Siria in funzione anti-ISIS. Da un punto di vista militare la Russia sostiene con l’appoggio aereo le operazioni terrestri del governo siriano (Assad). I bombardamenti russi dal cielo colpiscono sia l’Isis che le diverse formazioni “ribelli”. Grazie a questo supporto aereo le forze governative riescono a conseguire diversi successi. Ciò potrebbe legare ancor di più Assad a Mosca, ove già in passato il regime alauita aveva materializzato un rapporto privilegiato con l’Unione Sovietica. Probabilmente per garantirsi margini di autonomia nei confronti di stati di dimensioni maggiori.
A fine novembre si verifica uno scontro fra Turchia e Russia. Due caccia turchi abbattono un bombardiere russo, lungo il confine turco-siriano. Secondo Ankara il bombardiere avrebbe invaso lo spazio aereo turco, così di fatto legittimando la reazione dei caccia. Versione sempre negata e mai riconosciuta da Mosca. La crisi fra i due paesi prosegue per via diplomatica ed economica, con il presidente Putin, fedele alla sua immagine di “uomo forte”, in prima linea con una accesa dialettica. Tuttavia in conclusione, la risposta di Mosca non è comunque allo stesso livello di quella turca, legittimando ancor di più Ankara nella regione. E’ altrettanto vero che Erdogan abbia ricevuto una sponda politica dalla NATO, pur restando il fatto che per la Russia sia sostanzialmente insostenibile la posizione in Siria (retaggio della guerra fredda) in un contesto internazionale multilaterale come quello attuale. Tutto ciò vale anche per la maggior potenza militare mondiale, gli Stati Uniti.
Nondimeno osservando con attenzione la posizione statunitense, si evince un atteggiamento speculare a quello russo. In modo tale da incentrare la questione su una disputa russo-americana e quindi far prevalere le prerogative di tali paesi. Cercando così di togliere margini di manovra ad altre nazioni.
L’11 febbraio a Monaco di Baviera, viene organizzata, da Washington e Mosca, una conferenza sulla Siria. Vi partecipano anche le principali nazioni mediorientali. Il giorno seguente, con una dichiarazione congiunta, i ministri degli esteri russo e americano annunciano un accordo su un cessate il fuoco entro una settimana. La tregua esclude l’Isis. Il 14 marzo il presidente Putin annuncia un graduale disimpegno delle proprie forze dal fronte siriano. Così evitando un costante logoramento al sistema militare russo, in un teatro lontano dai suoi tradizionali interessi. Infatti la Russia rimane un attore fondamentale e determinante per la stabilità dell’Europa orientale.
Dunque sul terreno della crisi siriana rimangono i principali interessi delle potenze regionali. L’ Iran, rappresentante politico dell’universo sciita, sostiene il clan alauita sciita (la fazione governativa con a capo Assad) insieme agli Hezbollah libanesi e agli sciiti iracheni. Teheran può rappresentare l’unico contrappeso credibile nell’area alle ambizioni turche. D’altra parte l’appoggio iraniano è utile ad Assad in funzione antiturca. L’Iran è un interlocutore stabile e valido in merito al caos siriano.
La Turchia, perseguendo il “neo-ottomanesimo”, vuole ricreare una propria sfera di influenza in medioriente. Questa visione confligge con gli Stati Uniti, i quali sono contrari ad un Medioriente egemonizzato da un’unica potenza. Washington ha criticato Ankara in merito ai recenti bombardamenti turchi sull’area curda. Senza contare le resistenze americane ad un bilaterale tra Obama ed Erdogan in merito ai problemi mediorientali (ISIS e Siria). Poiché gli Stati Uniti sono consapevoli della ricerca del placet americano da parte di Ankara.
La posizione del governo italiano sulla crisi siriana è per una risoluzione diplomatica e multilaterale della questione, lontana da interventi militari unilaterali. Come i bombardamenti francesi decisi dal presidente Hollande, da cui il premier Renzi ha preso le distanze.