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Referendum fa paura e Italia lo paga caro sui mercati

Unicredit: non cederà asset e non si avrà aumento di capitale prima del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.


Referendum fa paura e Italia lo paga caro sui mercati

In Italia è tornato il tempo di preoccuparsi della tenuta del mercato obbligazionario e degli Spread. La differenza di prezzo che il Tesoro è costretto a pagare per rifinanziarsi sui mercati rispetto ai colleghi spagnoli si sta ampliando e con essa gli Spread tra i Btp e i Bund tedeschi. Questo perché si avvicina l’appuntamento chiave con il referendum costituzionale.

Alcuni paesi periferici sono percepiti come più vulnerabili di altri e questo è il caso non solo della Grecia ma anche dell’Italia. Tanto è vero che il differenziale tra i tassi sui Btp decennali e quelli sui Bonos spagnoli è ai massimi dal 2014. A parte Atene, che è un caso a parte e disperato, in Eurozona solo Roma e Lisbona hanno perso la fiducia degli investitori nell’ultimo mese, con i rendimenti che sono saliti.

L’incertezza sull’esito del voto del 4 dicembre è grande. Gli ultimi sondaggi danno intorno al 48-50% circa le possibilità di vittoria dei Si, mentre quelle che la spuntino i No sono tra il 50 e il 52% generalmente. Una grossa fetta degli interpellati – in alcuni casi arriva fino a un terzo del campione – è indecisa. Dalla parte di Renzi c’è anche l’eventuale non raggiungimento del quorum, che manterrebbe lo status quo e confermerebbe per legge la riforma.

Non solo le Opposizioni (M5S, Sinistra Italiana-Sel, Lega Nord, Forza Italia) ma anche l’ala dei ribelli in seno al PD sono contrari alla riforma, citando chi i rischi di deriva autoritaria, chi l’inefficacia della fine del bicameralismo perfetto così disegnata e i dubbi sul rapporto che si andrà a creare tra Stato e regioni. Renzi e l’ex presidente Napolitano sostengono che la riforma renderà più governabile il paese, dando maggiori poteri all’esecutivo sul parlamento, riducendo al contempo il numero di senatori.

Va inoltre precisato che alcuni gruppi parlamentari che oggi si oppongono alla riforma nella speranza di mettere fine all’esperienza del governo Renzi l’hanno votata. Dei grandi gruppi solo M5S, Lega Nord e Sel si sono sempre opposti o astenuti nelle sei votazioni svoltesi dal 2014 al 2016 e alla Camera e al Senato la riforma ha ottenuto in media il 57% dei consensi.


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