Europa, Libia e Medioriente: un REBUS!
Il 22 agosto Renzi, Merkel e Hollande, si incontrano a Ventotene nel primo vertice post-Brexit. Il summit rappresenta la volontà da parte dei paesi chiave dell’Unione europea di ridare maggior forza e lustro al progetto europeo, dopo l’uscita, tuttavia ancora da formalizzare, da parte di Londra. In questo consesso l’Italia viene vista come partner fondamentale, alla stregua di Germania e Francia. Lo stesso vertice è anche una sorta di “preparazione” alla prima riunione tra i leader dell’Ue dopo la Brexit, che si è tenuta a Bratislava.
Prima del summit slovacco ad Atene si è tenuto un incontro tra i paesi (Grecia, Italia, Spagna, Cipro, Malta, Portogallo e Francia) facenti parte del neo gruppo del Mediterraneo dell’Ue. Il vertice, su iniziativa greca, ha incentrato la discussione contro le politiche dell’austerità. Quasi immediata la reazione di Berlino, la quale ha stigmatizzato il tutto. In sostanza i sette paesi mettono in discussione la visione tedesca dell’Europa. Tuttavia è impraticabile una “riforma” dell’Unione senza coinvolgere la stessa Germania: paese nel “cuore” del continente e con il maggior peso demografico. Dunque si può ritenere il summit ateniese come secondario nel contesto del vecchio continente.
A Bratislava il 16 settembre Renzi esterna il proprio disappunto per aver notato un sostanziale disinteresse verso i temi cari all’Italia: Mediterraneo, immigrazione e politica economica. Di conseguenza vi è una polemica da parte del Premier italiano verso l’Ue. La risposta tedesca non si fa attendere: “l’Italia ha firmato la dichiarazione di Bratislava”. Sette giorni dopo a Berlino erano presenti Merkel, Hollande e Juncker. Assente Renzi, non invitato.
L’asse Berlino-Parigi garantisce alla Francia la “presenza” come soggetto paritario della Germania nelle decisioni fondamentali per l’Unione europea, anche se “l’ultima parola” spetta a Berlino. Ma andando in profondità nella questione la centralità tedesca nell’Ue è penalizzante per la Francia, la quale, per compensare ciò, si focalizza su Nordafrica e Medioriente. Diversamente una partnership italo-tedesca europea è possibile per ragioni geografiche. Ma difficilmente Berlino accetterà un rapporto bilanciato con Roma se gli equilibri all’interno dell’Unione europea rimarranno inalterati. In ultima analisi, per la Germania, nell’attuale Unione, la moneta unica è il punto di forza ma al contempo anche il punto debole. Mentre per l’Italia determinanti saranno la stabilità e la governabilità sul lungo periodo.
In Libia la storica divisione fra Tripolitania e Cirenaica si riverbera anche nel post-Gheddafi di inizio XXI secolo. Vi sono il governo di Accordo Nazionale, con sede a Tripoli e guidato da al-Sarraj. Esso è l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale. Mentre a Tobruk risiede il parlamento. La maggioranza di tale consesso si pone come obiettivo una Libia federale con una rilevante autonomia per la Cirenaica. In questo progetto vi è il supporto dell’Egitto, probabilmente per non ritrovarsi una Libia fortemente accentrata e concorrenziale ai propri confini come durante l’epoca gheddafiana. D’altra parte la situazione internazionale su Tripoli è molto fluida: oltre ai tradizionali interessi italiani sono anche presenti quelli anglo-francesi, in particolar modo Parigi. Per Roma è importante una Libia salda per prevenire situazioni difficili legate all’immigrazione.
Tuttavia l’Italia, grazie alla sua posizione geograficamente favorevole nel Mediterraneo, può usare la propria diplomazia anche in Tunisia, paese non completamente stabilizzatosi.
Sul fronte siriano la tregua concordata tra Usa e Russia (10 settembre) si è rivelata un insuccesso. Ha retto meno di dieci giorni, con la conseguente ripresa degli scontri. Mosca e Washington nella contesa siriana (d’altronde come i paesi europei) rappresentano dei soggetti di secondo piano. I due protagonisti della guerra fredda cercano di autolegittimarsi a vicenda (ormai non si contano più gli incontri fra Kerry e Lavrov) con risultati inconsistenti. Nell’arena siriana e mediorientale vi sono altri protagonisti maggiormente incisivi.
Da una parte vi è la Turchia guidata dal Presidente Erdogan. Questi si è rinforzato notevolmente dopo il fallito golpe di questa estate e persevera nella strategia “neo-ottomana”. Volta a ricreare una propria area d’influenza per Ankara (sulla falsariga del passato Impero ottomano) usando la religione islamica come collante. D’altra parte vi è pure l’Iran. Il quale, dopo esser stato sdoganato dall’amministrazione Obama (gennaio 2016: stop alle sanzioni e accordo sul nucleare iraniano) possiede ampi margini di manovra in Medioriente. Teheran, oltre ad essere demograficamente e militarmente “importante”, è una repubblica islamica sciita, ciò le permette di avere una notevole influenza grazie appunto alla rilevante presenza islamica sciita nei diversi paesi dell’area.
Emblematico l’approccio russo: la relazione principale è rivolta all’Iran (alleanza pro-Assad) ma senza chiudere la porta alla Turchia (dopo la piccola crisi in seguito all’abbattimento del caccia russo, Putin ha accettato le scuse di Erdogan). Questo poiché Mosca essendo una potenza esterna all’area (come Usa e paesi europei) punta ad un equilibrio per avere così margini di manovra (al contrario con un’unica potenza dominante sarebbe molto più difficile intervenire). Ankara ha una maggiore rilevanza rispetto a Teheran e dunque l’Iran ha la precedenza, tuttavia relativa.
Il clan aluita-sciita con a capo il Presidente siriano Assad, sostenuto da Iran e Russia, sta cercando di conquistare più posizioni possibili combattendo contro la coalizione dell’”opposizione” siriana ( sunniti, islamisti, curdi) e l’Isis. Fondamentale la battaglia per la conquista di Aleppo, ove le forze di Assad mantengono la città sotto assedio. Per i governativi è determinante la conquista di Aleppo, soprattutto per mandare un messaggio al resto della Siria. Nel frattempo i turchi, lungo il confine siriano, combattono contro i curdi dell’ Ypg (Unità di protezione del popolo). Va da se che nell’immediato il maggior ostacolo alla strategia neo-ottomana sia l’insidiosa capacità militare degli alauiti di Damasco (Ankara supporta l’opposizione siriana in funzione anti Assad), fermo restando che la creazione di uno stato curdo viene avversata sia dall’Iran che dalla Turchia.
Le forze curde ovviamente sono presenti anche nell’Iraq settentrionale ove stanno marciando da est alla conquista di Mosul difesa dall’Isis. Mentre da sud vi è l’esercito irakeno con lo stesso obiettivo. In definitiva l’Isis militarmente si è rivelato inconsistente e consapevole di ciò ha puntato ad una forte spettacolarizzazione delle proprie attività belliche. Purtroppo questo ha significato morte e violenze per numerosi civili. Mosul è l’ultima città di rilievo irakena ancora in possesso dell’Isis.
L’Iraq è uno stato federale suddiviso fra sciiti, sunniti e curdi. Ma nella sostanza il maggior potere decisionale riguarda la comunità sciita irakena (da cui il Primo ministro), e da qui gli stretti rapporti con il vicino Iran. Da sottolineare come la comunità curda irakena, stanziata nel nord del paese, sia dotata di un’importante autonomia.