La semplice economia del referendum
Chicco Testa, dopo aver detto che bisognava votare sì (immagino per non votare come quei razzisti dei leghisti), a spoglio ultimato ha implicitamente detto se avete votato no è perché siete terroni, (salvo poi cancellare il tweet, da vero Riccardo Cuor di Leone da Tastiera; ma ci ha pensato un regazzetto sveglio...).
Rettifica: mi dicono che il tweet è ancora lì, oggetto di esegesi alquanto interessanti. Se vi va, andate a vedere. Grim è stato bloccato...
D'altra parte, si sa, è del piddino non solo il sapere di sapere, ma anche il ritenersi legibus solutus: quello che detto da altri sarebbe hate speech, detto da lui è contenuta espressione di una giusta passione civile, quello che detto da altri sarebbe insinuazione razzista, detto da lui è fine analisi sociologica.
Ne propongo una alternativa, che mi arriva da una persona familiar with the matter e che stimo molto. A me risulta che abbiano votato no i (giovani) disoccupati, e questo è anche quello che dicono i dati.
Mi sembra un ottimo esempio della differenza fra correlazione e causazione. Indubbiamente il "no" ha prevalso al sud, ma il problema non è etnico: direi piuttosto che è macroeconomico. Quanto due variabili y (il voto) e x (la terronitas) si muovono insieme, la colpa potrebbe essere di una terza variabile z (la disoccupazione). Questo, almeno, era scritto nel manuale dove studiai e col quale insegnai econometria.
Stando così le cose, mi sembra evidente che il referendum, come ho sempre detto, è stato sulla Bce (che ha perso), piuttosto che su Renzi (che non ha vinto). Prima che qualche altro intellettuale organico si addentri in categorie che non gli appartengono, magari dicendo che la mia analisi non vale niente, perché l'euro è solo una moneta e se al sud non lavorano è perché non hanno voglia di lavorare (o consimili analisi da bar), quindi è la terronitas a causare la disoccupazione (e il conseguente voto "di protesta"), mi affretto a far notare che il disastro del Mezzogiorno è sì endemico, e se ne potrebbe parlare a lungo, ma certamente è stato aggravato dalle politiche di austerità prese in nome dell'Europa. Lo si vede se si analizzano gli indici del Pil delle quattro macroregioni italiane (prendendo come base il 1995, primo anno per il quale i dati sono disponibili sul database del'Istat):
Ci siamo? Fino alla crisi i tassi di crescita erano relativamente omogenei. Poi, con lo shock del 2008, i tracciati si discostano: il Nord perde di più, ma recupera anche di più. Sud e Isole perdono di meno, ma non recuperano, e dall'arrivo di Mario A. Monti (dove A. sta per "alriparodelprocessoelettorale"), si vede bene come il tracciato del loro PIL diverga verso il basso da quello di Nord e Centro, che invece blandamente recuperano.
Occorre altro?
Sì.
Occorrerebbe che chi si pronuncia su temi economici sapesse l'economia, e magari, se vuole proprio parlare della nostra crisi (cosa che nessun medico gli prescrive), prima studiasse la teoria delle aree valutarie ottimali. Nei suoi progressi recenti questa teoria fornisce mille e un motivo per il quale una moneta unica favorisce la divergenza economica fra paesi e aree partecipanti (non ci torno: chi mi segue lo sa, e chi vuole saperlo mi segua).
Quando poi questa divergenza economica fatalmente si traduce in divergenza politica, sta a ognuno reagire secondo le proprie capacità: ci sarà chi profferirà altezzose oscenità razziste, e ci sarà chi umilmente fornirà dati.
Il tempo è galantuomo (ma è anche poco).