1957-2017: que reste-t-il (de nos amours...) du traité de Rome?
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1957-2017: cosa resta dei trattati di Roma?
Brexit, la Siria, pressioni populiste multiformi, incertezze economiche e monetarie persistenti: di fatto è un'Unione europea (UE) rudemente messa alla prova nel 2016 che si appresta a celebrare quest'anno il 60esimo anniversario dei trattati siglati a Roma il 25 marzo 1957. Attraverso quei due trattati che hanno creato la Comunità Economica Europea (CEE) e l'Euratom, i 6 Stati fondatori già coinvolti nella Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA) entrata in vigore nel 1952 - la Germania, il Belgio, la Francia, l'Italia, il Lussemburgo e i Paesi-Bassi - gettavano le basi di quella che sarebbe divenuta l'Unione europea di oggi.
Istituzioni, governi e think-tank a vocazione europea non mancheranno, e non senza ragione, di utilizzare nei mesi a venire la memoria di quei trattati storici per tentare di rilanciare il dibattito europeista, di ricordare quanto da quel tempo lontano la costruzione europea ha potuto portare di buono agli Europei e ai loro vecchi Stati-nazione. Una commemorazione ufficiale e diversi eventi pubblici sono già previsti a Roma il 25 marzo. Questo ricorso alla storia si presenta nondimeno a doppio taglio, poichè il richiamare in causa i trattati di Roma nel clima politico attuale rischia al contrario di apprezzarne l'audacia originale e i successi talvolta insperati, tanto quanto le occasioni e le ambizioni ormai perdute.
Culmine e rintocco funebre di un decennio audace (1950-60)
Gettando le basi di una CEE largamente rintracciabile all'origine della UE attuale, i trattati di Roma, di cui la messa in opera effettiva data dal 1958, hanno in effetti costituito l'esito culminante di un decennio breve di audacia europeista, cominciata con la dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950. Soffermarsi, oggi, sulla genesi e le condizioni di negoziazione dei trattati europei degli anni '50, significa innanzitutto riscoprire quello che fu un periodo di audacia politica e diplomazia visionaria: in meno di dieci anni, una generazione di capi di Stato e di governo, di ministri, di diplomatici e di innumerevoli negoziatori e consiglieri più o meno anonimi è stata capace d'immaginare un ordine europeo radicalmente innovatore.
Trovando un punto di equilibrio precario tra un'istanza progressiva, aspirazioni e imperativi sovranazionali da una parte, e la preoccupazione di proteggere, difendere e promuovere gli interessi e i valori degli Stati e dei cittadini europei dall'altra, la serie dei trattati iniziata col trattato di Roma del 1951 che costituì la Ceca e proseguita coi trattati di Roma del 1957 ha marcato una rivoluzione politica e diplomatica la cui modernità e il coraggio hanno ancora oggi la capacità di sorprendere e di ispirare.
Una scommessa audace
Di quella audacia dei trattati di Roma resta essenzialmente oggi come realizzazione concreta la messa in servizio con successo di un' Europa mercantile nelle sue dimensioni interne (il mercato interno e le sue politiche comuni emblematiche come la PAC - Politica Agricola Comune - o la politica in materia di libera concorrenza) ed esterne (la politica commerciale della UE, le politiche di cooperazione e aiuto allo sviluppo), e di cui l'adozione dell'euro come moneta unica ha costituito il coronamento ultimo (e fatale, ndt). Ma restano anche occasioni e illusioni perdute, come quelle del trattato Euratom, che ambiva a raggiungere l'obiettivo di una sovranità ed autonomia energetica europea ancora oggi lontana dall'essere conquistata, e tuttavia ancora desiderabile sia per ragioni economiche che geopolitiche
Nel 1957, i trattati di Roma hanno d'altra parte suonato il rintocco della fine delle ambizioni di una integrazione politica e militare dell'Europa, la CEE difatto rilanciando attraverso la dimensione economico-mercantile la costruzione di una politica europea messa in scacco dall'abbandono nel 1954 del trattato di Parigi del 1952 che istituiva la Comunità europea di difesa (la CED) e del progetto a corollario di Comunità Europea. Fu un vero e proprio ricentraggio del progetto di costruzione europea sulle questioni economiche e commerciali nel 1957, che persino i futuri sviluppi della UE dopo l'entrata in vigore del trattato di Maastricht nel 1993 hanno fatto fatica a superare.
I trattati di Roma hanno, in definitiva, ancorato per il lungo periodo la costruzione europea ad un processo d'integrazione attuato attraverso la dimensione economica e senza un progetto politico chiaro - un'iniziativa, intendiamoci, indispensabile al rilancio dello stesso progetto europeo alla fine degli anni '50, ma oggi ormai senza più fiato.
Une Unione «sempre più stretta»
Al di là degli elementi contingenti anche troppo evidenti (crisi economica e pressioni dalla globalizzazione dei commerci, crisi multiforme della democrazia in Occidente, instabilità geopolitiche), le difficltà attuali della UE hanno una genesi anche nel metodo scelto allora per rilanciare la costruzione europea in quel grande traguardo del 1957.
Iscrivendo nel preambolo del trattato istituente la CEE l'ambizione di una Unione «sans cesse plus étroite» (sempre più stretta, ndt) tra gli Stati membri, mentre questi erano impegnati quasi esclusivamente nella costruzione di un'Unione doganale e di un mercato comune, i negoziatori del trattato della CEE hanno difatti contratto la scommessa (coi posteri) che il successo della loro creazione iniziale avrebbe generato e per conseguenza legittimato la necessità di un'ulteriore cooperazione e integrazione europea. Le cooperazioni erano anche destinate ad essere estese progressivamente a un numero sempre maggiore di settori, senza che fosse necessario che gli Stati si accordassero sull'obiettivo finale di un progetto europeo comune per permettere all'integrazione di procedere.
Questa iniziativa, teorizzata in qualche modo nelle analisi neo-funzionaliste della costruzione europea come quelle di Ernst b. Haas, ha permesso all'Europa integrata di strutturarsi sempre più in profondità con la successione dei trattati europei seguenti e di espandersi per successive ondate, in modo da sembrare che desse corpo - sia pure in modo molto progressivo - a quella Unione «sans cesse plus étroite» che i negoziatori dei trattati di Roma avevano preconizzato e certamente evocato di loro pugno.
La fine dell'ambiguità costruttivistica
La crisi policentrica (polycrise, ndt) che attraversa attualmente la UE è, in parte, imputabile a quella iniziativa di costruzione europea delineata nel progetto della Ceca e consacrata dal trattato della CEE. La Brexit, che è una crisi di chiarificazione della posizione di uno Stato messo radicalmente di fronte ad un obiettivo costitutivo di costruzione europea che non condivide, o non più, è imputabile all'ambiguità costruttivistica che caratterizza quel metodo di costruzione europea dagli anni '50.
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La crisi di rimbalzo della zona euro, marcata da un'Unione economica e monetaria (UEM) incompleta e disfunzionale - perché non si appoggia ad una sufficiente convergenza economica, fiscale e sociale - è il risultato di quella stessa iniziativa originaria europea che si prefiggeva di sviluppare progetti di cooperazione e politiche comuni, se e quando possibile, ma senza assumere o prevederne tutte le implicazioni e le dimensioni politiche. Gli stessi insegnamenti possono essere tratti dalle difficoltà che incontra lo spazio Schengen ai giorni nostri. La difficoltà di far emergere, nel 2017, un'Europa più (capace di) politica e portatrice di valori, che permetta una riappropriazione del progetto europeo da parte dei cittadini stessi, è anche essa stessa una conseguenza di quell'approccio da lungi depoliticizzato..
Rinnovare nello spirito di Roma
Sessant'anni fa, la classe dirigente europea di allora ha operato una rivoluzione delle relazioni interstatuali europee e hanno riorientato l'intera storia dell'Europa, poroprio perchè avevano coscenza della loro responsabilità storica e della capacità da parte di decisioni politiche audaci di produrre dei cambiamenti positivi ed efficaci nel lungo termine.E' esattamente di quello spirito di Roma che le istituzioni e i governi europei devono dar prova nel 2017. Almeno quelli che credono ancora che l'integrazione europea sia un approccio adeguato a promuovere gli interessi comuni quali la pace, lo sviluppo scientifico, tecnologico ed economico, sociale ed umano. Perchè ormai l'Europa di Roma - quella fondata su un'integrazione esclusivamente economico-commerciale e largamente depoliticizzata - è non soltanto passata di moda, ma ormai anche minacciata nella sua stessa ragion d'essere.
* Bastien Nivet è dottore in scienze politiche (Ecole de management), Groupe Léonard de Vinci