Centro Einaudi: Italia ripresa vera ma faticosa
Il XXI rapporto del Centro Einaudi sottolinea i piccoli segnali che emergono dall’economia - Rocca: «Occorre affrontare i nodi del debito e della produttività»
Per l’Italia una ripresa vera ma «faticosa»
Una «ripresa faticosa». Il XXI rapporto sull’economia globale e l’Italia del Centro di ricerca e documentazioni Luigi Einaudi definisce così la situazione dell’Italia, che dovrà ora affrontare la nuova “tendenza” al protezionismo che domina i discorsi - e per ora solo quelli - di molti leader e aspiranti leader, a cominciare dal presidente Usa Donald Trump. È una tendenza che potrebbe penalizzare molto la nostra economia trainata - malgrado le tante lamentele sull’euro e la scarsa competitività a cui la costringerebbe - proprio dalle vendite all’estero, mentre mancano ancora all’appello gli investimenti (nelle costruzioni, almeno). «Globalizzazione addio?» è non a caso il titolo del rapporto, curato da Mario Deaglio (e realizzato con il sostegno di Ubi Banca). L’enfasi innegabile dello studio sulle incertezze politiche ed economiche globali - l’ipotesi sposata è quella della stagnazione secolare - e sulle difficoltà che incontra l’intera Europa non impedisce al rapporto di aprire qualche squarcio di ottimismo. Mario Deaglio, nella presentazione ieri a Milano, ha espresso così scetticismo sul +0,7% previsto dal Fondo monetario internazionale per il PIL 2017 dell’Italia, invitando piuttosto a cogliere alcuni «microsegnali» in direzione opposta: l’andamento dei prestiti dei mutui, del settore dell’auto, del turismo, degli investimenti in senso stretto, che non sono calati, dell’agricoltura, il cui valore aggiunto è ai vertici in Europa. «Sono convinto - ha aggiunto - che il ministro Padoan pensi anche lui a questa discrepanza tra i dati» quando insiste sulle potenzialità dell’Italia. L’idea di Deaglio è che gli istituti di statistica, nel mondo, sottovalutino produzione e vendita legati a internet: «Vedono i negozi che chiudono, ma non le iniziative che partono» sulla rete. Non si apprezza abbastanza, nota soprattutto Deaglio, l’andamento del mercato del lavoro: in due anni e mezzo, spiega, è stato aggiunto un milione circa di posti di lavoro, con un ritmo medio annuo del 4%. «Vi sembra poco?», chiede il rapporto; anche se occorre capire - ha ammesso Deaglio - se non si tratti di un effetto transitorio di incentivi e altre misure di politica economica. Allo stesso modo non si tiene conto, ha aggiunto l’economista, il livello delle tecnologie italiane che in alcuni comparti - l’esempio è quello del segnalamento ferroviario - sono avanzati e importanti, mentre in altri, pur di “nicchia”, sono comunque di successo: «C’è una serie di settori nei quali possiamo combattere una battaglia». In ogni caso, tutto questo non basta. Il Centro Einaudi ha calcolato che con una crescita del 2-2,5% in dieci anni «i problemi si aggiusterebbero da soli». Lo scenario più probabile suggerisce in ogni caso un limitato +1%... «Per il nostro paese si pone un tema di azione - ha allora commentato alla presentazione del rapporto in AssoLombarda, il presidente dell’associazione imprenditoriale Gianfelice Rocca - se vogliamo evitare che la pressione diventi insostenibile. Per poter rimanere agganciati in modo propulsivo al sistema europeo è fondamentale affrontare, con estrema decisione i due nodi ancora da sciogliere: debito e produttività». Il presidente di AssoLombarda ha anche voluto sottolineare le opportunità che si presentano per la Lombardia: «Grazie all’eccellenza che ha nelle lifescience (scienze della vita), Milano ha tutte le carte per giocare un ruolo chiave ospitando un importante istituto come l’EMA (European Medicines Agency), l’Agenzia europea del farmaco. Partita ancora tutta aperta anche per l’EBA, l’Autorità europea bancaria che, trovando sede a Milano, potrebbe dare vita a un polo per tutti i servizi di investimento capace di coagulare partner internazionali con istituzioni e operatori finanziari italiani». Per far questo, conclude Rocca, «l’Europa deve ritrovare una propria identità. Molta responsabilità avrà la Germania cui spetterà ridare un senso di direzione alla nuova geografia dell’Europa».