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Tornare al Lingotto dopo 10 anni


Tornare al Lingotto, per un bilancio e un rilancio del progetto per l’Italia dei democratici, è dunque un gesto simbolicamente impegnativo.


Nel discorso del Lingotto, il 27 giugno 2007, dando avvio alla sua campagna per l’elezione a Segretario Nazionale, Veltroni provò a trasmettere, insieme, i riferimenti ideali, le linee programmatiche, la visione del Paese ma anche il tono della voce che avrebbe impresso al partito democratico nella fase fondativa. Non a caso, si è poi continuato a parlare di quell’evento prendendolo a riferimento di una intera stagione, come formula che contiene il codice genetico del Pd. Tornare al Lingotto, per un bilancio e un rilancio del progetto per l’Italia dei democratici, è dunque un gesto simbolicamente impegnativo.

Al Lingotto del 2007 non ci furono né «il dibattito» né relazioni tecniche introduttive. Ma il messaggio è rimasto come un patrimonio collettivo perché fu l’approdo di molte riflessioni, di un lungo percorso e, su quella base, segnò l’avvio di un nuovo inizio. Diede voce a una sinistra che non giudica la società dall’alto in basso, che si riconosce nelle categorie più deboli ma non identifica negli imprenditori un nemico, che sfida piuttosto i conservatorismi di ogni colore sul terreno delle riforme necessarie a rimettere in moto il Paese. L’agenda di policy è nota e non c’è bisogno qui di ricapitolarla.

Fu criticata per il tentativo di conciliare principi e interessi tra loro in perenne tensione, con il famoso «ma anche». Un atteggiamento mentale e pratico che in seguito avremmo forse fatto bene ad usare più spesso. Eppure, conteneva di certo più elementi innovativi che di mediazione. A cominciare dall’idea del Pd come un partito per il nuovo millennio, «un partito che non nasce dal nulla e insieme un partito del tutto nuovo». Un partito aperto a «tutti gli italiani che sentono di voler fare qualcosa per il loro Paese e per i loro figli», costituito sul principio «una testa un voto», con le primarie.

Un partito plurale, nato per dare un baricentro solido ai governi di centrosinistra, nel quadro di una democrazia finalmente matura. Da allora ad oggi, lo scenario interno e internazionale è cambiato, attraverso la grande recessione e il successo del populismo nazionalista, mentre il Pd è passato attraverso due cambi di leadership, la prova del governo e la sconfitta della riforma istituzionale. Ma non dovrebbe essere cambiata l’ambizione che ci guida. Una aspirazione che parte dalla costruzione dell’Ulivo intorno a Romano Prodi, che passa, appunto, attraverso la fondazione del Pd nel 2007 con Veltroni e che ritorna oggi ad interrogarci. Può darsi che anche i protagonisti non riconoscano una continuità che invece è chiarissima, credo, a larga parte dei militanti.

Se guardiamo questa vicenda in una prospettiva meno angusta di quella a cui ci siamo spesso abituati, dovremmo tutti riconoscere che l’attuale stagione contrassegnata dalla sua leadership, non è proprietà “di Renzi ” almeno quanto non sono “di Prodi” quelle dell’Ulivo o “di Veltroni” la fondazione del Pd. È un monito che credo debba valere per lui e per i suoi antagonisti. Tornare al Lingotto è, in questo senso, un gesto simbolicamente importante e molto impegnativo. Renzi ci può tornare con molte persone intorno ma interpretarlo come una occasione di rilancio della sua parabola personale. Oppure per elaborare un nuovo discorso che restituisca il senso di comunità e direzione di cui il Pd e il Paese oggi hanno bisogno. Ovviamente, questa è la sfida.

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