RUSSIA 1917: dalla 'rivoluzione di febbraio' alla 'rivoluzione d'ottobre'
I giovani rivoluzionari del 1917: Stalin, Lenin, Trotsky
Quando la Russia, sospinta dalla classe militare desiderosa di una rivincita dopo l’umiliante sconfitta con il Giappone nel 1905, entrò in guerra nell’agosto 1914 era già sull’orlo del collasso politico. L’impero russo comprendeva la Finlandia, la Polonia, Lituania e paesi Baltici e parte della Transcaucasia: tutti anelavano all’indipendenza (ma tutti combatterono lealmente per lo zar). Solo il 70% di una popolazione di 166 milioni era di etnia russa. Nei venti anni di regno dell’autocrate zar Nicola II (nonostante alcune concessioni democratiche), si erano verificate sanguinose rivolte sia tra i contadini che reclamavano la distribuzione delle terre (il latifondo nelle mani della nobiltà russa rappresentava il 90% delle terre coltivabili) e la fine del sistema feudale, sia tra gli operai nelle zone industriali e minerarie che reclamavano maggiori diritti civili e sindacali da capitalisti che operavano in regime di cartello.
Tutti aspiravano a migliori condizioni di vita per sfuggire alla miseria diffusa. Si erano affermati tre partiti: i liberali costituzionalisti, favorevoli ad una democrazia sul modello occidentale, i socialisti rivoluzionari (eredi della tradizione populista russa teorizzavano la complementarietà tra l’azione di massa ed il terrorismo individuale) ed i marxisti (seguaci del filosofo Karl Marx ed erano divisi tra Bolscevichi con Lenin come leader, ed i menscevichi) decisi a provocare una rivoluzione tra gli operai (proletari). Dopo l’assassinio dell’erede al trono Austriaco a Sarajevo, lo zar non poteva che correre in aiuto del piccolo fratello slavo (Serbia) ed ignorare l’ultimatum del kaiser tedesco che gli imponeva di smobilitare l’esercito. In verità i russi erano certi che Francia e Gran Bretagna sarebbero entrati in guerra al loro fianco costringendo la Germania a dividere il suo esercito su due fronti. Allo scoppio della guerra la Russia, con un esercito di 5 milioni di effettivi era il più numeroso del mondo, ma aveva solo 4 milioni di fucili e scarsa artiglieria e munizioni. Il tutto era aggravato dall’ inefficiente sistema ferroviario e stradale russo incapace di rifornire il fronte date le grandi distanze esistenti dai magazzini degli arsenali al vastissimo fronte. Il fronte era lungo 1.500 km (dal mar Baltico alla Romania) e l’esercito era stazionato a nord per invadere la Prussia orientale ed a sud per scacciare gli austroungarici dalla Galizia. Le armate russe in Prussia furono sconfitte ed annientate nel primo mese di guerra lasciando sul campo 35.000 soldati e 95.000 prigionieri oltre che tutte le artiglierie e munizioni. Migliore ed alterna fortuna ebbero i russi contro gli austriaci (offensiva del 1914 di Brusilov e nel 1916: 1 milione di morti) che furono costretti a ripiegare due volte dalla Galizia. Le controffensive dei germanici costrinsero i russi ad abbandonare la Polonia, parte della Lituania, e arretrare fino a Riga. Alla fine del 1916 tutti i russi con un po’ di buon senso erano convinti che tutto fosse ormai perso e che lo Zar, ritenuto responsabile del disastro, dovesse abdicare. Nei primi mesi del 1917 si erano verificate numerose sommosse nelle città per la carestia (addirittura al fronte le razioni giornaliere di pane erano state ridotte a meno di mezzo kg). Le spese di guerra erano state finanziate attraverso prestiti e aumento della circolazione di moneta (con conseguente inflazione) che avevano ormai fatto crollare l'economia.
Soviet di Pietrogrado
Il Soviet (o Consiglio) era l'unità fondamentale del sistema politico e amministrativo affermatosi in Russia e poi in URSS fra il 1917 e il 1931. I primi soviet si costituirono spontaneamente nel corso della rivoluzione del 1905, come organismi di rappresentanza degli operai e dei contadini. Soppressi alla fine del 1905, si riformarono nel 1917, quando vi entrarono anche i rappresentanti dei soldati.
Il 18 febbraio 1917 (secondo il calendario giuliano allora ancora in voga, ovvero il 3 marzo secondo il calendario gregoriano) nelle officine Putilov di Pietrogrado scoppiò uno sciopero ad oltranza: per ritorsione tremila operai furono licenziati. Gli scioperi di protesta si estesero a quel punto a valanga a tutte le altre industrie della capitale e il 23 febbraio fu proclamato lo sciopero generale. Lo Zar Nicola II dal suo quartiere generale non aveva percepito la gravità della situazione e nonostante le pressioni di alcuni membri della Duma diede l'ordine al generale Chabalov di “liquidare l'indomani stesso i disordini della capitale”.
Il 26 febbraio un reparto del reggimento della guardia di Volinia aprì il fuoco sulla prospettiva Nevskij, dove era in corso una dimostrazione. Sessanta tra uomini e donne caddero morti sulla piazza: fu la scintilla che innescò la rivoluzione.
Il 27 febbraio (12 marzo) la sede della Duma, nel palazzo di Tauride, fu occupata da soldati e operai armati, la sera stessa si riunì lì il primo soviet di Pietrogrado, mentre anche a Mosca divampavano vaste sommosse.
Quando l'8 marzo 1917 (21) si scatenò a Pietrogrado l'ennesima insurrezione popolare, lo Zar Nicola II nell'impossibilità di reprimerla, fu costretto ad abdicare in favore del fratello, il granduca Michele, ma questi lo stesso giorno rifiutò la corona. La cosiddetta 'Rivoluzione di Febbraio', durante la quale perirono nella sola capitale più di millequattrocento persone, pose fine alla dinastia dei Romanov dopo quasi trecento anni di dominio.
Il dilemma: continuare la guerra o firmare la pace subito? Il soviet di Pietrogrado, composto in maggioranza da menscevichi e da socialisti di destra, diede il suo appoggio alla costituzione di un governo provvisorio, formato dai maggiori partiti allora presenti nella Duma, sotto la presidenza del latifondista liberale Lvov con Kerenskji (socialista rivoluzionario) ed altri ministri espressione degli agrari e dei capitalisti. Il dilemma che si pose da subito era: continuare la guerra mantenendo fede ai patti firmati con Francia e Gran Bretagna, confidando nell’entrata in guerra degli Stati Uniti, (le perdite al fronte, tra morti, feriti e prigionieri, ammontavano ormai a più di sei milioni) o firmare un armistizio con la Germania per concentrarsi sulle riforme agrarie e sociali e migliorare le condizioni di vita del popolo ormai in preda alla carestia?
I bolscevichi, al contrario, non avevano dubbi: subito la pace e le riforme, e Lenin lo ribadì con le sue tesi del 4 aprile. Il giorno prima era arrivato alla stazione finnica di San Pietroburgo (nella foto) dopo aver attraversato l’Europa sotto protezione germanica ed accolto da una folla entusiasta. 'Tutto il potere ai soviet' fu il suo slogan, spronando i contadini ad appropriarsi dei latifondi (discorso giudicato folle da quasi tutti i contemporanei).
Nel frattempo il socialista Kerenskji divenuto ministro della Guerra a maggio si recò subito al fronte per accertarsi del morale della truppa, degli ufficiali e degli armamenti. Fu sorpreso dal non udire il fuoco dell’artiglieria e nel vedere alcune trincee abbandonate dai soldati, occupati invece in riunioni politiche, mentre quelli rimasti si lamentavano per la scarsità delle razioni e per le rare licenze. E questo gli bastò per suddividere i soldati due categorie: quelli ancora disposti a combattere e quelli contrari perché filo-bolscevichi. Mentre gli ufficiali potevano essere suddivisi in tre categorie: la maggioranza incapace di comando perché in stato confusionale, una minoranza disposta a sabotare la rivoluzione, ed una ancor più piccola minoranza capace di motivare e comandare i soldati rivoluzionari. Kerenskji partecipò a vari dibattiti con i soldati ed ottenne un sincero consenso con slogan quali: “Avanti nella battaglia per la libertà”. Dopo un tour di tre giorni con il generale Brusilov si trassero le seguenti conclusioni: solo una offensiva vittoriosa avrebbe potuto rialzare il morale di un esercito con scarsi mezzi.
L’ultima offensiva russa che affossò la rivoluzione di febbraio. La data dall’offensiva fu fissata il 1 luglio e Brusilov aveva solo un mese di tempo per sostituire gli ufficiali inaffidabili. Ma questa decisione provocò per conseguenza dimissioni di massa tra gli ufficiali esperti che furono sostituiti da ufficiali sì motivati ma inesperti, se non inetti. Inoltre le armate schierate al al nord ed al centro si rifiutarono di partecipare, sia perché ormai allo sfascio sia perché senza più speranza di vittoria, per cui le sole armate su cui contare erano quelle schierate a sud contro gli austriaci, che d'altronde ben conosceva. Lo scopo dell’offensiva era di penetrare in profondità, isolare gli austriaci confidando di indurli ad una pace separata. Tornato a Pietroburgo, Kerenskji combatté la sua battaglia per ottenere il consenso dai gruppi politici. Ricordava che i russi dovevano onorare gli impegni presi con gli alleati almeno fino ad ottobre quando l’arrivo dei soldati americani in Francia avrebbe costretto i germanici a chiedere una pace, come stavano facendo i turchi, ed i bulgari, e così pure gli austroungarici che erano ormai allo stremo, ed avevano anche dovuto trasferire altre divisioni sul fronte italiano. I bolscevichi erano nettamente da sempre contrari, ma il 15 giugno al 'Congresso di tutti i Russi' venne approvata una offensiva sia pur limitata.
Domenica 18 giugno (1 luglio) 1917 era stata organizzata una grande manifestazione a favore del governo provvisorio. Parteciparono quattrocentomila persone ma gli slogan filogovernativi diffusi da fonti ufficiali erano in minoranza, mentre centinaia di cartelli riportavano: “Tutto il potere ai soviet!", "Basta con la guerra!", "Pane, pace, terra ai contadini, libertà!”...
Kerenskji ritornò al fronte il 27 giugno e fu favorevolmente impressionato nel vedere i soldati motivati ed attivi, e munizioni e rifornimenti in posizione in grande quantità. Partecipò a varie assemblee per motivare i soldati. Molti comitati si rifiutavano di partecipare ad una azione militare proprio ora che la pace era vicina, ma riuscì quasi sempre a convincere la maggioranza. Il piano steso da Brusilov prevedeva un attacco a nord ed a sud del fronte consolidatosi a sud-ovest. A nord la undicesima armata doveva attaccare gli austriaci della seconda armata nel punto di connessione con la Armee tedesca meridionale. A sud l’ottava armata doveva attaccare nel punto di connessione della terza e settima armata. Per impedire ai germanici di intervenire in favore dei loro alleati la settima armata russa doveva frontalmente contrastare la Armee a sud. I russi erano tutti ben armati. Il primo luglio, cessato il fuoco di sbarramento delle artiglierie, Kerenskji stava osservando ansioso da un posto di osservazione dell’undicesima armata il comportamento dei soldati. A piccoli gruppi i soldati con i loro ufficiali uscirono allo scoperto ed all’attacco, ma senza il supporto dell’artiglieria ed esposti al tiro degli austriaci, quando infatti questi aprirono il fuoco. I russi avanzarono con successo per la defezione della 19° divisione austriaca, composta da cechi che solidarizzarono con i loro connazionali che combattevano con i russi. Dopo il primo giorno di combattimento i russi avevano catturato almeno 18.000 prigionieri e 21 cannoni e 16 mitragliatrici.
Stranamente solo il 4 luglio la settima armata russa attaccava il centro difeso dalla Armèe germanica a sud. Nonostante gli aspri combattimenti i progressi furono limitati alla conquista di qualche kilometro.
Kerensky sostituì Brusilov con Kornilov Ancora più a sud l’ottava armata ebbe maggior successo quando iniziò l’attacco (solo) il 7 luglio. I russi penetrarono in profondità creando un saliente e facendo 10. 000 prigionieri e 80 pezzi di artiglieria in 3 giorni. In otto giorni di combattimenti l’ottava armata russa aveva creato un saliente largo 90 km. e 64 km profondo spingendo gli austriaci a fianco della Sud Armee. Contrariamente ai manuali militari il generale tedesco Hofmann, ricevute 5 divisioni di rinforzo non si preoccupò di ritirarsi per evitare l’accerchiamento. Se avesse fatto questo Kerenskji e Brusilov avrebbero conseguito la vittoria agognata e avrebbero potuto riformare la Russia e l’esercito. Al contrario il Generale Max Hofmann, con l’approvazione di Ludendorff, aveva previsto che dopo 10 giorni i russi avrebbero dovuto fermarsi per mancanza di rifornimenti e non si preoccupò di chiudere la falla, ma pianificò invece di attaccare in profondità per intrappolare i russi. Il contrattacco con le 5 divisioni fresche fu posposto al 19 luglio a causa delle piogge abbondanti ed avvenne nel punto dove la Sud Armee e gli austriaci erano a contatto. La notizia del violento contrattacco si diffuse in un baleno in tutto il fronte. I russi incominciarono ad indietreggiare, ed il sacrificio delle riserve servì solo a permettere una ritirata ordinata. Ma a Brody, una decina di km. oltre il fronte, alcuni reggimenti russi si ritirarono senza combattere causando un effetto domino. Si creò una breccia di 40 km in cui i soldati degli imperi centrali si gettarono, ed il 21 luglio erano già arrivati a Tarnopol. E ivi entrarono due giorni dopo aspri combattimenti. Nel frattempo il saliente dell’ottava armata russa era stato abbandonato il 22 luglio, e con la caduta di Tarnopol i russi dovettero ritirarsi ancora a est di Czernowitz, ed attestarsi lungo il fiume Dniester e Prut. I germanici e gli austriaci erano avanzati di 145 km in dieci giorni e furono costretti ad arrestarsi perchè esausti e senza rifornimenti. Nella capitale San Pietroburgo si passò dall’euforia alla disperazione nella ricerca dei responsabili della sconfitta, intravista nell’ammutinamento di intere unità. Fu ripristinata la pena di morte per i disertori, ma ormai era chiaro che solo la fine della guerra poteva mantenere in vita la repubblica. Le perdite ammontarono a 40.000 morti, 20.000 feriti e altri 17.500 feriti sospetti. (con le automutilazioni). Kerenskji cercò una canale di trattative con i buoni uffici degli svedesi.
Mentre era in corso l’offensiva il 3-4 (16) luglio 1917 i bolscevichi di Trotzky (contro il parere di Lenin), che nel frattempo aveva fondato la Guardia Rossa, appoggiati da alcune migliaia di dimostranti e soldati provenienti da Kronstadt, si impossessarono del palazzo di Tauride, per porre fine al governo provvisorio, ma furono dispersi all’arrivo dei soldati fedeli al governo. Il presidente del consiglio, il principe Lvov mise fuori legge i bolscevichi ma Lenin (che era contrario al golpe perché le masse non erano pronte) riuscì a fuggire in Finlandia travestito da operaio. Nel frattempo la situazione al fronte degenerava sempre più, i tedeschi avanzavano e gli episodi di insubordinazione diventavano sempre più frequenti.
A.F.Kerenskji (1881/1970)
Di agiata famiglia borghese, avvocato, con studi a Pietrogrado, aderì da giovane ai socialisti rivoluzionari, arrestato e bandito, fu difensore in molti processi politici. Eletto nel 1912 si occupò della riforma agraria, opponendosi sempre allo zar, ma scoppiata la guerra fu favorevole fino alla vittoria. Dopo la rivoluzione di febbraio, K. fu l'unico ministro socialista in seno al primo governo provvisorio, col portafoglio della Giustizia. Nel secondo governo provvisorio, con sei ministri socialisti K. fu ministro della Guerra. Dal luglio primo ministro, lottò maldestramente sia contro le tendenze rivoluzionarie favorevoli all'armistizio dei bolscevichi sia contro il tentativo di colpo di stato del generale zarista Kornilov. Incapace di gestire un’amministrazione statale allo sfascio fu travolto dalla rivoluzione bolscevica e costretto all’esilio.
La presidenza del consiglio dei Ministri allora fu assunta il 21 luglio da Kerenskij. Nel tentativo di ristabilire la disciplina nell'esercito fu reintrodotta la pena capitale, ma oramai i russi erano dovunque in ritirata. Il 26 luglio (8 agosto) 1917 i bolscevichi si riunirono illegalmente per il loro sesto congresso. Lenin dal suo esilio propose di accelerare la caduta della dittatura controrivoluzionaria della borghesia e di sostituirvi la dittatura del proletariato, ritenendo peraltro impensabile una conquista del potere per via pacifica. Il congresso approvò la sua linea. Kerenskij, dimostratosi incapace sia di rianimare l’esercito alla guerra sia di frenare il dilagante bolscevismo dovette affrontare anche l’ammutinamento del generale Kornilov, che aveva abbandonato la difesa di Riga il 19 agosto per marciare su San Pietroburgo allo scopo di liquidare i bolscevichi ed assumere il potere assoluto. I ferrovieri sindacalizzati deviarono i convogli del generale e i bolscevichi liberati su ordine di Kerenskji dal carcere convinsero i soldati che era in atto colpo di stato. Tutti i capi dell’esercito furono arrestati, ma le esitazioni di Kerenskji nel punire i traditori lo screditarono ulteriormente. Il suo governo entrò in crisi. Solo il 25 ottobre fu in grado di formare un nuovo governo, ma era ormai troppo tardi.
Lenin rientrò di nascosto a Pietroburgo il 10 (23) ottobre 1917: l'insurrezione armata doveva scattare senza indugio. Due giorni dopo fu creato il 'Comitato Militare Rivoluzionario' sotto la presidenza di Trotzky, e fu insediato nell'istituto Smolnyi, già sede del partito bolscevico. Il comitato poteva contare su dodicimila guardie rosse e tremila soldati. Gli operai delle industrie belliche fornirono le armi, si unirono poi ai bolscevichi le navi da guerra della flotta del Baltico e molte truppe del governo provvisorio. La sera del 24 ottobre (6 novembre) 1917 Lenin, sotto false sembianze, si recò all'istituto Smolnyi per organizzare la presa del potere: durante la notte le guardie rosse ed i soldati occuparono senza incontrare resistenza i ministeri, la banca nazionale, la centrale telefonica, le stazioni ferroviarie e tutti gli altri punti nevralgici di Pietrogrado. Kerenskij riuscì a fuggire dalla capitale ma gli altri membri del governo provvisorio rimasero chiusi nel Palazzo d'Inverno confidando nell'intervento delle poche forze rimaste fedeli: gli allievi ufficiali delle scuole, tre reggimenti di cosacchi e qualche altro reparto tra cui il battaglione femminile della signora Botchareva per difendere il Palazzo. Gli insorti accerchiarono l'edificio ed intimarono al governo di arrendersi entro mezz'ora, in caso contrario le navi da guerra avrebbero aperto il fuoco con i loro cannoni. L'ultimatum non ebbe risposta e due ore dopo una cannonata a salve partita dall'incrociatore Aurora provocò una sparatoria tra le due parti. Il battaglione femminile, dopo aver tentato una sortita, fu catturato dagli insorti che penetrarono nel palazzo e in poco tempo disarmarono gli ufficiali.
All'alba del 26 ottobre (8 novembre) tutti i ministri furono arrestati e trasferiti sulla fortezza di Pietro e Paolo. L'assalto al Palazzo costò la vita a cinque marinai e ad un soldato. Lo stesso giorno si era radunato allo Smolnyi il secondo congresso pan-russo dei soviet composto da seicentocinquanta delegati, sotto la presidenza del bolscevico Kamenev, e tra ripetuti e scroscianti applausi fu decretato il passaggio del potere ai soviet e proclamata la Repubblica dei Soviet. La sera di quello stesso giorno si aprì la seconda seduta del congresso: in un tripudio di ovazioni Lenin salì sul podio ed annunciò il decreto di espropriazione della terra che fu dichiarata patrimonio del popolo, insieme alle risorse petrolifere, carbonifere e minerarie. Il congresso approvò ed infine intonò l'Internazionale. La conquista del potere da parte dei bolscevichi passò alla storia come la Rivoluzione d'Ottobre. Le guardie rosse continuarono a combattere contro le truppe di cosacchi ancora fedeli a Kerenskij e le sconfissero a Pulkovo e Gacina. Kerenskij si rifugiò poi in Inghilterra.