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ONG: "avventurieri ed opportunisti", volontari sotto accusa.


I difetti capitali delle ONG che operano nel trasbordo dei migranti dalla Libia in Italia erano già stati ben individuati nel 2005. Riportiamo un articolo pubblicato dal Corriere nel dicembre 2005.


Libération critica le Ong: pensano a loro stesse. E la storica Amina Yala: avventura ambigua...


PARIGI — Una mobilitazione umanitaria all'altezza della catastrofe. Ma come sono stati impiegati i più di 10 miliardi di euro raccolti in tutto il Pianeta, e i 300 milioni solo in Francia? In modo spesso discutibile, secondo più studi e opinioni. La «Secours» - di ispirazione cattolica - finora ha speso solo 10 dei 35 milioni raccolti, la «Croce rossa francese» solo il 16% dei 110 milioni raccolti.

Le organizzazioni non governative hanno svolto un ruolo essenziale, ma «come ogni istituzione umana tendono ormai a fare prevalere le ragioni della loro esistenza sugli scopi disinteressati iniziali — si legge nell'editoriale di Libération —. Una svolta non necessariamente a fini di lucro, ma comunque una deviazione morale. Se lo tsunami ha consacrato l'importanza delle Ong, segna anche il momento in cui l'assoggettarsi a regole democratiche diventa imperativo».

Uno studio dell'Università di Berkeley sostiene che «i donatori e le agenzie hanno cercato di ottenere risultati rapidi e spettacolari piuttosto che coinvolgere le popolazioni locali nella scelta della ricostruzione». Nel libro Tsunami, la vérité humanitaire (edizioni Jubilé), il giornalista Richard Werly sostiene che «molte squadre umanitarie avrebbero potuto lasciare le zone devastate tre mesi dopo ma la volontà di essere presenti sul posto — per giustificare il denaro dei donatori — ha contato più della pertinenza dei programmi svolti». Oltre alle Ong come istituzioni, in Francia si comincia a guardare con occhio critico anche ai volontari, la loro linfa vitale, e gli ultimi eroi rimasti al nostro tempo. La storica Amina Yala, dopo 5 anni di studi e decine di interviste, ne ha individuati sei tipi: l'idealista, il militante, l'opportunista, il professionista, l'occasionale, l'avventuriero. Sono tipi molto diversi, alcuni degni di stima, altri meno. Per questo Yala parla di «avventura ambigua» nel libro appena uscito Volontaire en Ong: l'aventure ambiguë (Léopold Mayer editore); denuncia la scarsità del tipo «idealista», e il peso crescente degli «opportunisti» e dei «professionisti del volontariato».

I primi, mossi dal desiderio di lasciare l'Europa e dai loro problemi personali, sperano di trovare nell'impegno umanitario «un ambiente di lavoro informale, poco gerarchico, senza troppi obblighi di orario o di abbigliamento, e soprattutto fuori dalla routine». I professionisti invece scelgono il settore della solidarietà per carriera: contano in un lavoro ben pagato nella cooperazione internazionale. «Ecco perché le Ong più rinomate (Medici senza frontiere, Azione contro la fame, Medici del mondo) sono sommerse dai curriculum, come le grandi aziende». Poi ci sono gli avventurieri, già inconsapevolmente individuati nel 1985 da Bernard Kouchner, il fondatore di Medici senza frontiere, ex ministro socialista della Sanità, quando disse che «la nostra epoca non offre abbastanza avventura per i giovani in città. Creando "Ateliers dell'Europa" in tutto il Terzo Mondo, daremo ai nostri ragazzi sogno, azione. Camion da pilotare nel deserto...». Chi ci crede davvero resta spesso deluso.

Ecco la testimonianza del volontario Michel Sévilla dopo due anni in Africa: «Bisognerebbe sempre sapere perché e per chi si fanno certe cose. Io ho lavorato per il prestigio della Francia, per quello di un ex ministro e, accessoriamente, per aiutare qualche contadino ruandese a dare da mangiare ai suoi bambini». Gilles, reduce da Kabul: «Il giovedì sera c'era il club delle Nazioni Unite dove tutti gli stranieri si riunivano per bere quello che non avevano bevuto durante la settimana. C'era un biliardo, una piscina... Il Club Med sotto le bombe! Il mondo delle Ong è abbastanza chiuso; ci sono molti filtri, puoi anche stare poco in contatto con la popolazione locale». Nel 1982, le ONG raccoglievano 150 milioni di euro. Nel 1992 dieci volte di più. Che è accaduto nel frattempo? La carestia in Etiopia, il Live Aid e l'arrivo del «marketing sociale». «Oggi l'aiuto umanitario è un mercato, con tanti concorrenti — dice Antoine Vaccaro, fondatore di Excel, prima agenzia francese di marketing sociale —. Chiunque sia capace di intercettare l'offerta di generosità ha un futuro davanti a sé». Tornati in Francia, i volontari più convinti proveranno a condividere la loro esperienza, a usarla per cambiare in meglio la società occidentale. «Ma ciò che interessa a parenti, amici e colleghi non è la cultura ma folklore ed esotismo. Alla fine, tutto finisce in una serata di diapositive».



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