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Euro per tutta la UE: "un'idea scollegata dalla realtà"...


Jean-Claude Juncker è convinto che se l’Europa si ferma è finita e che deve continuare a pedalare: per farlo occorre rafforzare la centralizzazione dei suoi poteri sottraendo sovranità ai singoli stati membri. Ma secondo alcuni analisti di orientamento euro-scettico andrebbe piuttosto fatto un passo indietro: le ipotesi avanzate dal capo della Commissione UE durante lo stato dell’unione circa un super presidente e un ministro unico delle Finanze vanno contro corrente rispetto a quello che è la volontà dei cittadini europei.

Juncker, il cui mandato scade tra 18 mesi, sulle ali dell’entusiasmo per la recente ripresa vista di recente dell’economia dell’area euro (definita “con il vento in poppa”) si è spinto persino a proporre che tutta l’Unione Europea adotti l’euro. Secondo Michel Naulot, ex banchiere ex ex membro del Collegio dell’AMF (Autorità dei mercati finanziari francese), si tratta di un’idea ‘completamente scollegata alla realtà politica ed economica”.

Minacciata dal populismo crescente e dal parziale successo delle formazioni politiche euro scettiche, l’Eurozona ha già le sue difficoltà e provare a fare finta di niente come fa Juncker è una “provocazione” secondo Naulot. Intervistato da Sputnik, testata filo russa, Maulot sottolinea che “tre cittadini su quattro in questo momento vogliono meno integrazione e non più integrazione“.

Il progetto di Juncker “va completamente contro corrente rispetto a quelli che sono i desideri dei nostri cittadini. E spiega in parte la crisi che attraversano l’area euro e l’Unione Europea da ormai una decina d’anni”. Il corretto funzionamento dell’Euro-zona è stato messo a dura prova dall’ultima crisi del debito sovrano e secondo l’analista “è assolutamente distruttore perché tutti i paesi della periferia soffrono” sul piano sia economico, sia sociale.

Il piano ambizioso di Juncker è quello di presentare il 30 marzo del 2019 un programma concreto di riforme per rilanciare l’Unione Europea. La data ha un valore simbolico: il giorno prima del vertice di Sibiu, in Romania, durante il quale l’Ue dovrebbe fornire tutti i dettagli del progetto scadono i negoziati tra Londra e Bruxelles sui nuovi accordi commerciali e diplomatici post Brexit.

Ma è stato proprio il risultato del voto del 23 giugno 2016 a mettere alla luce i problemi di un’integrazione “imposta dall’alto” in Europa. Anziché rovinare i piani dell’establishment, il voto ha convinto le autorità europee della necessità di accelerare il processo di integrazione. L’insoddisfazione per le politiche economiche e di bilancio, tuttavia, sta crescendo in paesi meno virtuosi come l’Italia.

La crisi del debito, prima, e dei migranti poi ha scucito le già morbide maglie di solidarietà economica e sociale in area euro. La Germania non vuole condividere Dalla creazione dell’euro, la produzione industriale tedesca è cresciuta del 29% mentre in Francia si è contratta del 14%.

Il neo presidente francese Emmanuel Macron vuole rifondare l’Europa unita, e Angela Merkel, alla caccia del suo quarto mandato consecutivo nelle elezioni federali del 24 settembre, vorrà sicuramente lasciare in eredità una Germania più forte, saldamente al comando della locomotiva economica europea. I due condividono molti valori – liberali in economia e contrari a una chiusura delle frontiere – che però non sono estremamente popolari tra i cittadini. Le divisioni tra i singoli Stati membri e il distacco tra autorità e popolazione restano ampi.

Non si sa bene quindi come l’asse franco tedesco intende effettivamente riformare l’Europa. Come fa notare Maulot “dire che integreremo paesi come la Bulgaria, la Croazia, la Slovacchia, la Polonia, la Romania, che hanno dei livelli salariali non paragonabili a quelli delle due potenze di Germania e Francia è semplicemente esplosivo per il futuro dell’area euro. Non farà che aumentare i problemi”.

Voler allargare la zona euro per includere gli altri paesi dell’Ue è un “pio desiderio“, secondo Vincent Brousseau, ex economista della Bce. Il responsabile nazionale del partito UPR (Unione Populaire Republicaine) guidato dal candidato alle scorse elezioni presidenziali Francois Asselineau e incaricato di studiare la possibilità di tornare al franco osserva che “è impossibile costringere un paese a entrare in area euro”.

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