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Carillion, processo a un crack inglese



La fine è stata rapida per Carillion, ma il post mortem sarà lungo e complesso.

Superato lo shock iniziale per il fallimento della seconda società di edilizia britannica, oberata dal peso di 2,2 miliardi di sterline tra debiti e deficit del fondo pensioni, è iniziata la fase delle polemiche. Tutti - politici, economisti, banche, dipendenti, fornitori, imprese, contribuenti – vogliono capire come un gruppo con 43mila dipendenti e centinaia di importanti commesse pubbliche sia potuto crollare in un modo così spettacolare.

Carillion era un gruppo privato ma specializzato in servizi per lo Stato e ha ottenuto quasi due miliardi di sterline di commesse pubbliche. Il fallimento lascia sospesi e incompiuti centinaia di progetti in costruzione e importanti opere, da autostrade a ponti e da ospedali alla linea ferroviaria ad alta velocità. Il gruppo era anche coinvolto nella micro-gestione del settore pubblico, dalla fornitura di pasti a migliaia di mense scolastiche alla sicurezza nelle prigioni, dai servizi di pulizia negli ospedali al mantenimento di decine di migliaia di alloggi per i militari.

Il fallimento è stato repentino, per il rifiuto delle banche creditrici di continuare a sostenere il gruppo e la presa di distanza del Governo conservatore che non voleva violare il (sacro) principio liberale per cui lo Stato non debba soccorrere le imprese private...


Un capitalismo malato di asset intangibili

I problemi finanziari del gruppo però erano noti da tempo: il titolo era crollato del 90% dal luglio 2017 al gennaio di quest’anno, in seguito a tre allarmi sui profitti. Dopo il primo di luglio molti grandi investitori, tra i quali il gigante degli investimenti BlackRock, avevano venduto le loro quote in fretta e furia. Il Governo però ha continuato ad assegnare commesse a Carillion, l’ultima a novembre pochi giorni dopo il terzo profit warning. Il 3 gennaio è intervenuta la Financial Conduct Authority, il guardiano dei mercati, lanciando un’indagine sulla condotta di Carillion. A quel punto le banche coinvolte – tutte le “big five” britanniche – hanno detto basta.

Adesso, due settimane dopo il crack, il Parlamento britannico è sceso in campo, annunciando un'inchiesta su come Carillion sia potuta arrivare al fallimento e quale sia stato il ruolo dei dirigenti. Il 6 febbraio la Commissione Pensioni e la Commissione Business insieme interrogheranno gli ex presidenti, amministratori delegati e responsabili delle finanze e del fondo pensioni del gruppo e le loro testimonianze saranno trasmesse in diretta televisiva nel nome della trasparenza.

Il perché Carillion sia fallita sembra abbastanza chiaro: per ottenere commesse pubbliche ha cercato di essere competitiva, facendo offerte al ribasso per spiazzare i concorrenti, trovandosi quindi ad avere margini ridottissimi di guadagno o, più spesso, a lavorare in perdita. Per compensare i margini declinanti ha cercato commesse altrove, dal Canada al Qatar, ma la situazione finanziaria è peggiorata quando ci sono stati problemi tecnici nel completamento di alcuni progetti come ospedali e strade e poi lunghi ritardi nei pagamenti.

Quando i debiti hanno cominciato a montare, il gruppo ha cercato sempre più commesse pubbliche, che almeno portavano contanti in cassa per pagare gli stipendi dei dipendenti. Carillion si è trovata così fatalmente avvolta in una spirale negativa, usando una sorta di “schema Ponzi” per cui usava i fondi appena ricevuti per nuove opere non per investire e costruire quelle ma per riuscire a tenersi a galla tappando le falle aperte in passato.

Le ricadute ora sono pesanti. Decine di migliaia di dipendenti sono ora incerti sul loro futuro, circa 30mila fornitori fra le piccole e medie imprese in sub-appalto che ora non saranno pagate e rischiano di fallire a loro volta, con centinaia di contratti pubblici che nella migliore delle ipotesi dovranno subìre rinvii e nella peggiore essere annullati... Lo Stato ora, nonostante abbia preso le distanze da un “fallimento privato”, è stato costretto a intervenire per garantire i servizi pubblici finora forniti da Carillion.


​Fallisce Carillion, big inglese delle costruzioni: 43mila posti a rischio

Data l’importanza del caso, studiare l’anatomia del dissesto potrebbe portare a imparare la lezione e a non ripetere gli errori commessi. Il processo è appena iniziato, ma la lista dei presunti colpevoli sotto accusa è molto lunga: comprende i dirigenti del gruppo che hanno continuato a premiarsi con ricchi stipendi e bonus milionari anche quando i conti schricchiolavano già da tempo, senza curarsi di un deficit crescente del fondo pensioni. Gli stessi dirigenti intanto tenevano buoni gli azionisti con aumenti dei dividendi (ogni anno negli ultimi 16 anni), mentre il consiglio di amministrazione sembrava non occuparsi della corporate governance.

Comprende anche la società di revisione e vari ministeri e enti pubblici che hanno continuato ad assegnare contratti al gruppo senza fare accertamenti sulla sua solidità finanziaria o capacità di portare a termine il compito. Le regole stabiliscono che ogni ente pubblico debba scrutinare le offerte ricevute se sembrano “anomale” perché troppo basse, eppure le regole sono state ignorate. Sotto accusa anche il Governo, che secondo le accuse dell'opposizione laburista persegue la sua strategia di outsourcing di servizi pubblici a privati per motivi ideologici, senza verificare se i risultati siano soddisfacenti e se i costi oltre che i rischi alla fine non siano più elevati.

I riflettori sono puntati anche sulla tanto decantata «PFI», la «Private Finance Initiative», avviata nel lontano 1992 dal Governo conservatore ma poi utilizzata anche dall’esecutivo laburista per rendere più efficiente la costruzione e gestione di grandi opere e progetti infrastrutturali e trasferire il rischio dal settore pubblico al settore privato. Il National Audit Office (Nao) ha appena pubblicato un rapporto che sostiene che non è stato un grande affare per lo Stato, che si trova a pagare 10 miliardi di sterline all'anno e ha accumulato debiti per un totale di 200 miliardi di sterline. Colpa dello Stato, sottolinea il Nao: in tutti questi anni non ha mai effettuato una valutazione dei costi/benefici della PFI.


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