Governo Conte a stelle e strisce...
Gli Usa ci stanno usando contro la Germania (e a noi va bene così): in molti attaccano Conte per l'apertura verso la Russia, ma in questo momento i nemici di Trump sono Cina, Giappone e soprattutto Germania, che ha un surplus commerciale enorme con gli Usa. In questa cornice gli Stati Uniti sono ottimi alleati per combattere lo strapotere tedesco: sfruttiamoli.
Gli americani appoggiano il governo Conte in chiave anti tedesca. Mentre molti media attaccano Conte per la sua disponibilità verso la Russia, all’indomani del suo discorso di insediamento, lasciando intravedere una pericolosa intesa Roma-Mosca che porrebbe il nostro governo in quota Visegrad, d’intesa cioè con i governi euroscettici dell’Europa dell’Est contro Bruxelles, la vera novità è che l’euro-atlantismo liberal non è più tale. O meglio, non è più né liberal né europeo, ma punta su di un governo a trazione populista in Italia e perfino filo russo.
Trump, oggi, ha tre avversari politici: Germania, Cina e Giappone, le prime tre potenze che vantano surplus commerciali monstre verso Washington. Con la Germania a rappresentare il problema più grande per l’America, dato che la Cina possiede comunque una parte cospicua del debito pubblico americano. Germania, Cina e Giappone, d’altronde, sono tre potenze che Washington vorrebbe colpire con i dazi. Trump, infatti, non perde occasione per accusare la Germania di manipolare l’euro a suo vantaggio, piazzando i suoi beni all’estero non solo per la qualità, ma soprattutto grazie ad un euro artificialmente debole sul dollaro e che lo rende ultra competitivo.
In un tweet dello scorso maggio, il presidente degli Stati Uniti aveva dichiarato: “Abbiamo un deficit commerciale enorme con la Germania, in più pagano MENO di quanto dovrebbero per la NATO e le forze armate. Molto male per gli Stati Uniti. Questo cambierà.” Le scaramucce fra i due Paesi sono costanti. L’altro giorno, il ministro degli esteri tedesco, Heiko Maas, ha stigmatizzato le dichiarazioni di insediamento del nuovo ambasciatore americano voluto a Berlino da Trump, Richard Grenell, che aveva rilasciato un’intervista bomba su Breitbart, il giornale della destra radicale americana fondata da Steve Bannon, ex portavoce di Trump ed eminenza grigia delle destre radicali a livello planetario. Bannon, fra l’altro, è volato varie volte in Europa, anche per patrocinare la nuova maggioranza italiana giallo-verde, oltre che per incontrare altri leader della destra radicale come Le Pen. Grenell aveva parlato di “un’onda conservatrice” in Europa che lui avrebbe sostenuto in nome dell’America. L’ambasciatore criticava la sinistra ma, soprattutto, lodava i nuovi leader populisti europei, come il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, definito “rock star”. Peccato che Kurz sia avversario, non solo della sinistra, ma anche del popolarismo moderato e filo migranti e Ue di Angela Merkel. La tensione è alta, al punto che il leader Spd Rolf Muetzenich ha invocato la violazione della Convenzione di Vienna. Ma lo scontro non è tanto ideologico, ma economico.
Dunque, oltre al dato che l’euro è una moneta che fisiologicamente aiuta la Germania, esiste una componente politica, di volontà di accumulare o meno questo surplus. E c’è anche una corresponsabilità della Commissione Ue, influenzata da Berlino, che poco ha fatto per sanare questa stortura
Secondo l'Ufficio federale di statistica (UST) tedesco, la Germania ha esportato negli Stati Uniti 50,5 miliardi di euro di merci in più di quelle importate da lì. Nel 2000, l'eccedenza delle esportazioni era di €14,6 miliardi mentre dall'inizio del nuovo millennio l'eccedenza ha raggiunto il picco nel 2015 di 53,5 miliardi di euro. Il disequilibrio della bilancia commerciale pende troppo a sfavore di Washington. L'anno scorso, gli Stati Uniti erano il maggior acquirente di beni tedeschi con esportazioni per un totale di 111,5 miliardi di euro.
La verità è che l’euro è effettivamente una moneta che favorisce Berlino per dei fattori sistemici, più che per delle manipolazioni. Fattori che interessano anche l’Italia. Dall’introduzione dell’euro in poi, rispetto all’area centrale della zona euro, le nostre retribuzioni nominali sono aumentate, mentre peggiorava il rapporto salari reali e produttività del lavoro. Paesi come la Germania, invece, grazie alla moneta unica, hanno registrato alta produttività e surplus commerciali record attraverso la moderazione salariale. Fino al 2007, la crescita di Berlino è stata trainata proprio dal mercato europeo, infatti, registrando poderosi surplus, mentre l’Italia e gli altri Piigs (i Paesi deboli dell’area euro) accumulavano quei disavanzi che sono poi diventati il motore della recessione e dello spread. Quando l’Eurozona si è bloccata, per colpa della crisi e dell’austerità, Berlino ha puntato sui mercati extra Ue, avvantaggiata da un Euro debole per la propria economia. Di fronte ai suoi surplus commerciali, la Germania avrebbe dovuto favorire una politica di aumento dei propri salari al fine di stimolare la domanda. Invece, come dimostra il caso di minijob tedeschi - lavori sottopagati attraverso i quali la Germania pratica dumping salariale -, Berlino fa l'esatto opposto.
Dunque, oltre al dato che l’euro è una moneta che fisiologicamente aiuta la Germania, esiste una componente politica, di volontà di accumulare o meno questo surplus. E c’è anche una corresponsabilità della Commissione Ue, influenzata da Berlino, che poco ha fatto per sanare questa stortura. L’Unione europea, infatti, prevede penalità sia per i deficit eccessivi - ed è il caso dell’Italia -, sia per i surplus eccessivi - ed è il caso di Berlino. Solo che la Commissione è celere ad aprire procedure di infrazione contro Roma appena si superano i parametri di Maastricht, ma non fa lo stesso per sanzionare i surplus della Germania. Il problema del surplus tedesco non è quindi una novità. Anche Obama e la stessa Yellen, capo della Fed americana, avevano in passato più volte attaccato Merkel. Con il loro stile, nell’alveo di cordiali rapporti euro atlantici e della comune sensibilità liberal. Dato che, da allora, la Germania poco ha fatto per cambiare spartito, non è azzardato spiegare il populismo, allora, anche nei termini di una escalation del conflitto con Berlino su tale questione. Berlino che è aiutata da un euro che è un neo marco debole, che favorisce gli export, ma che è invece una neo lira pesante per noi, che ha zavorrato per molti anni i nostri export, sostenuti un tempo dalle svalutazioni competitive della moneta.
In questa cornice, il governo Conte si trova nelle condizioni per durare. Se la nuova maggioranza non si perderà in violente crociate anti migranti e gay, potrà favorire un superamento dell’austerità, servire gli interessi americani ma, soprattutto, quelli italiani
La verità, comunque, è che l’orizzonte politico comune che noi abbiamo conosciuto per sessant’anni, l’atlantismo, è cambiato. È cambiato perché Trump ha vinto le elezioni e rappresenta una visione dell’interesse americano diversa. Certo, non contro l’Europa, che è stata una creazione americana, ma sicuramente non a favore di questa Ue squilibrata e che crea troppi vantaggi alla Germania. Non a caso, l’analista Jane Foley ha recentemente sostenuto che le tariffe americane servono per creare una frattura all’interno della Ue Germania Vs resto dell’Europa. Washington punta con le cattive a spingere Berlino a stimolare la domanda mondiale puntando all’inflazione salariale interna ed è pronta a patrocinare qualsiasi iniziativa all’interno della Ue che metta Berlino in difficoltà. In fin dei conti, siamo usciti dalla crisi del 2008 grazie a grandi politiche di stimolo da parte di Obama e anche del Giappone, mentre l’Europa continuava a praticare il rigore monetario sostenuto dalla BundesBank. In questa cornice, il governo Conte si trova nelle condizioni per durare. Se la nuova maggioranza non si perderà in violente crociate anti migranti e gay, potrà favorire un superamento dell’austerità, servire gli interessi americani ma, soprattutto, quelli italiani. A patto di non distruggere l’Europa però, che è la maggior garanzia per la pace continentale. Anche perché, dopo le guerre commerciali, ci sono le vere e proprie guerre.