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Malaria Sardinia project


La campagna del DDT e il Sardinia Project

Nel 1945 Alberto Missiroli, direttore del Laboratorio di Malariologia dell’Istituto Superiore di Sanità, annunciava al Comitato Provinciale Antimalarico una nuova arma per la lotta alla malaria che avrebbe eradicato la malattia in cinque anni. Si trattava del dicloro-difenil-tricloroetano, a tutti noto come DDT. Nel 1946, Missiroli lanciava il “piano quinquennale per il risanamento dell’Italia della Malaria” con il quale si voleva risolvere il problema della malaria tramite l’impiego esclusivo dei nuovi insetticidi a effetto residuo. Il DDT non era un nuovo prodotto chimico, ma era stato sintetizzato nel 1874 in Germania, e nel 1939 Paul Hermann Müller (1899-1965) ne aveva dimostrato l’azione insetticida. Nel 1942 la Svizzera lo immetteva sul mercato come Gerasol, per combattere i parassiti delle piante, e come Neocid, come anti-pidocchi. Il DDT e la sua utilizzazione sono per l’Italia strettamente legati all’azione degli Stati Uniti d’America, in una politica che fu di guerra, di ricostruzione, di colonizzazione su una scala che non fu solo nazionale italiana ma anche internazionale. Dall’esercito americano il prodotto chimico è introdotto nel dicembre del 1943 per debellare un’epidemia di tifo esantematico trasmesso dai pidocchi nella zona di Napoli. Il DDT, usato senza conoscerne gli effetti collaterali su più di un milione di abitanti del Napoletano, in sole tre settimane dette ottimi risultati sull’epidemia tifoidea. Sempre in Campania, nell’estate del 1944, non ancora conclusa la campagna contro il tifo e, quindi, non ancora noti gli esiti, il DDT era sperimentato dall’esercito americano per combattere la malaria a Castel Volturno. Un nuovo esperimento ebbe luogo ad Ostia e nel giugno del 1945 la sperimentazione fu estesa al delta del Tevere e nella zona sud orientale della Pianura Pontina. Convertendo una tecnologia pensata per la guerra, a più riprese l’esercito statunitense in questa prima fase di sperimentazione spruzzò l’insetticida dai propri aeroplani, anche come larvicida nelle zone allagate. Fine immediato di questa operazione non fu la salute degli abitanti della regione, ma anzitutto la protezione delle truppe alleate. Gli Stati Uniti cominciavano inoltre quella politica volta ad accaparrarsi zone di influenza da strappare all’antagonista sovietico, politica poi confermata dalla Conferenza di Yalta del febbraio 1945 e dalla successiva Guerra Fredda. La potenza americana intuiva la medicina occidentale e la tecnologia come possibili strumenti; una volta testato il DDT in Italia, era possibile utilizzarlo su scala più ampia nelle zone tropicali. Prese così piede la “soluzione americana”, fortemente voluta da L.W. Hackett e Alberto Missiroli, al problema della malaria: una lotta che utilizzava un metodo economico, veloce ed efficace. La Allied Control Commission – fondamentalmente influenzata dagli americani – accolse la proposta dei malariologi della Rockefeller Foundation, F. Soper e P. Russell di usare il DDT su una scala più ampia. L’utilizzo dell’insetticida portava con sé una concezione della malaria che da problema sociale diveniva entomologico: la rapida tecnologia in luogo di un programma di riforme sociali di più lenta realizzazione. La concezione– a posteriori – si rivelò parziale. Proprio tutte quelle misure volute dalla legislazione sulla malaria dall’inizio del Novecento nonché il costante impegno ufficioso di medici, letterati e civili per l’istruzione delle masse indigenti principali vittime della malattia furono fondamentali per una completa eradicazione della malaria in molte zone d’Italia ove fu utilizzato il DDT. L’integrazione di DDT e degli strumenti ereditati dalle campagne italiane della prima metà del Novecento permisero il successo nella lotta alla malaria nell’Agro Pontino. Il Comitato Provinciale Antimalarico infatti preparò la diffusione dell’insetticida con la riapertura delle scuole rurali, per l’istruire la popolazione locale sui meccanismi della trasmissione, la distribuzione del chinino, la protezione meccanica tramite zanzariere. Furono ricostruite le case distrutte durante la guerra, e utilizzato il Verde di Parigi nelle acque stagnanti. I bombardieri americani spruzzarono quindi il DDT nella zona pontina dove l’indice di mortalità per P. falciparum e P.vivax si era molto ridotto proprio tra il 1944 e il 1945. Simili tappe seguì la campagna del DDT in Veneto. La regione aveva assistito in questi primi anni Quaranta a una progressiva recrudescenza della malattia, di fatto un effetto di guerra: l’abbandono dei campi, l’indigenza, la malnutrizione, il passaggio delle truppe. A precedere la diffusione di DDT, avvenuta nel 1946, l’azione dell’Istituto Interprovinciale delle Venezie che come il Comitato Provinciale Antimalarico di Littoria (l’odierna Latina) si spese per la profilassi e la terapia, l’alfabetizzazione; distribuì carte sulla geografia locale della zanzara affinché le zone di riproduzione fossero trattate col Verde di Parigi; riaprì scuole locali e sanatori per bambini. E non solo. Il piano concepito da Alberto Missiroli prevedeva infatti una suddivisione dell’Italia in quattro zone in base al tipo e alla diffusione del vettore malarico: 1) la pianura padana con una prevalenza dell’Anopheles atroparvus; 2) il litorale veneto-emiliano ove il vettore principale era Anopheles sacharovi; 3) l’ area centro-meridionale, con Anopheles labranchiae diffuso a nord e a sud di Roma; 4) l’Italia meridionale e insulare con eccezione della Sardegna dove si registrava una presenza consolidata dell’ Anopheles labranchiae. Il programma fu accolto dall’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità (ACIS), nuovo organo direttivo della Sanità Pubblica, nel 1945; nell’attesa di una sua organizzazione Missiroli iniziò la campagna nella zona delle Pianure Pontine, conseguendo nel 1946 buoni risultati. Una cospicua parte del finanziamento del programma quinquennale di Missiroli lanciato nel 1946 fu offerta dall’UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration), che stanziò più di un miliardo di dollari. All’ACIS si dovette la rettifica del piano quinquennale come pensato da Missiroli: all’idea dell’eradicazione della malaria attraverso l’uso esclusivo del DDT, con spruzzamento intradomiciliare, se ne sostituiva una più ampia, riaffermando sostanzialmente il principio di Angelo Celli “unum facere et alterum non omittere”, con interventi di piccola bonifica, cura del malato, preparazione di uno staff tecnico; alla previsione entusiastica di una via veloce per la risoluzione del problema malarico in cinque anni l’ACIS rispose con maggior cautela, ponderando anche la questione finanziaria che poteva permettere la realizzazione di questa seconda campagna antimalarica, i cui costi non potevano essere totalmente coperti dal finanziamento cronologicamente limitato dell’UNRRA e quindi avanzando una partecipazione dello Stato Italiano. Il “piano quinquennale per il risanamento dell’Italia della Malaria” aveva inizio nel 1947: si basava anche sul supporto dei Comitati Antimalarici Provinciali, otteneva il finanziamento dal Ministero del Tesoro. Storia diversa ebbe l’eradicazione della malaria in Sardegna. Si realizzava qui il Sardinia Project, che intendeva la soluzione del problema malarico attraverso l’eliminazione diretta del vettore, l’Anopheles labranchiae, secondo la strategia caldeggiata da Fred Soper, responsabile della Rockefeller Foundation, che con questo metodo era riuscito a eradicare l’Anopheles gambiae in Brasile. Con il fine di “eliminare tutti gli anofeli dal territorio della Sardegna” venne istituito nel 1946 l’Ente Regionale per la Lotta Antimalarica in Sardegna (ERLAAS). Il Sardinia Project ebbe vicende tormentate ed esiti discutibili. Il concetto del negativismo larvale, su cui si basava la campagna, trovava le resistenze di molti, tra cui lo stesso John Kerr, sovrintendente dell’ERLAAS, che all’obbiettivo di una eradicazione del vettore opponeva quello di una eradicazione della malaria. Kerr presentò una dimissione ufficiosa dal suo incarico, ricoperto nella fase progettuale della campagna da John Logan. Sostanzialmente calato dall’alto, senza il coinvolgimento della comunità medico-scientifica, delle amministrazioni e strutture sanitarie locali, il Sardinia Project fu un esperimento tecnico-scientifico e al tempo stesso una mossa della strategia economica, politica e militare degli Stati Uniti per il controllo di un’importante area del Mediterraneo. Non a caso al progetto, realizzato agli inizi della Guerra Fredda, si oppose il Partito Comunista Italiano. Il Sardinia Project si definì in parte in corso d’opera, proprio perché approssimativo fu lo studio entomologico ed epidemiologico che precedette il suo programma. Anzitutto la Sardegna non contemplava solo la presenza dell’Anopheles labranchiae ma anche di altre specie di zanzare: era quindi necessario rettificare il programma in direzione di un’eradicazione di tutta la specie, nell’impossibilità di localizzare con precisione i luoghi di riproduzione dei vari anofeli. La presenza di zanzare non era poi circoscritta a specifici territori ma diffusa anche in zone montane, e in ogni corso d’acqua, anche il più piccolo e lontano dai ricoveri umani. A supporto della campagna del DDT furono quindi utilizzati altri mezzi: lanciafiamme per eliminare i roveti, aerei per raggiungere le zone di più difficile accesso, dinamite per favorire il drenaggio delle acque altrimenti ingovernabili. Il Sardinia Project non riuscì nel suo obbiettivo: nel 1951 a conclusione della campagna l’isola era libera dalla malaria, ma non aveva eradicato l’Anopheles labranchiae. I costi furono altissimi e non solo immediatamente economici. Da un punto di vista ecologico l’uso massiccio del DDT causò gravi danni, come ad esempio l’avvelenamento dei corsi d’acqua e dei bacini acquiferi, che ebbe conseguenze economico-sociali nel settore della pesca d’acqua dolce. A conclusione delle campagne del DDT nell’Italia continentale e insulare, la malaria era comunque eradicata. Gli ultimi casi di terzana maligna per Plasmodium Falciparum si registrarono in Sicilia e Sardegna nel 1952. In Sicilia, a Palma di Montechiaro, tra il 1956 e il 1957 l’ultima epidemia di terzana benigna colpì un centinaio di persone. Nel 1965 si richiedeva all’Organizzazione Mondiale della Sanità di dichiarare l’Italia libera dalla malaria. La dichiarazione dell’OMS fu data nel 1970.

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