La corruzione al Sud e i fondi europei: il nesso c’è e si vede
Politica valutata: Stanziamento di fondi europei nelle regioni meridionali
Obiettivo: Rilancio economico delle aree europee sottosviluppate
Effetto: Ad un aumento degli stanziamenti del 10%, si assocerebbe un aumento dei reati per corruzione dello 0,4%
I Fondi di Coesione, stanziati dall’Unione Europea a favore delle regioni caratterizzate da una significativa eterogeneità socioeconomica seguono logiche redistributive, trasferendo grandi risorse di denaro dal livello di governo europeo ai governi locali. Questi fondi, erogati su base settennale, vengono investiti nelle regioni meno sviluppate con l’obiettivo di ridurre gli squilibri economici e sociali presenti.
Purtroppo, spesso si incorre in un uso scorretto di questi fondi. L’Ufficio Europeo per la lotta antifrode (OLAF) stima in 1 miliardo di euro l’anno la quota di fondi utilizzata per corruzione e frodi. La maggior parte dei casi di malaffare è riscontrabile nei paesi dell’Europa centrale e orientale, ma situazioni analoghe sono state documentate anche in Italia. Lo spreco di questi fondi è considerato “active waste” quando le risorse sono sottratte da politici e funzionari per un guadagno privato illecito, “passive waste” quando è imputabile a inefficienze della pubblica amministrazione (quest’ultima si ritiene sia la quota maggiore di risorse pubbliche sprecate).
Per migliorare l’efficacia del finanziamento, la Commissione Europea ha previsto un meccanismo di ritiro automatico dei fondi che avviene quando gli Stati membri non certificano la spesa entro il termine del periodo di programmazione previsto. Gli stessi Stati membri sono incaricati di verificare eventuali irregolarità nella gestione dei fondi a livello locale. La minaccia di ritiro dovrebbe agire come deterrente e lo Stato è tenuto ad intervenire nel controllo di questi fondi imponendo regolamenti e requisiti per rendere la corruzione sempre più difficoltosa.
Un’ulteriore politica mirata a responsabilizzare gli Stati beneficiari dei fondi è quella di prevedere una quota di co-finanziamento che deve essere erogata direttamente dallo Stato o Regione che riceve il finanziamento europeo. Il co-finanziamento però, essendo coperto per oltre il 90% dal livello di governo nazionale, incoraggia poco le autorità locali a monitorare la spesa dei fondi e la conseguente attuazione dei progetti.
Nello studio della Banca d’Italia "On the unintended effects of public transfers: evidence from EU funding to Southern Italy" gli economisti Ilaria De Angelis, Guido de Blasio e Lucia Rizzica hanno monitorato la spesa dei fondi di coesione dal 2007 al 2014 e raccolti tutti i casellari giudiziari a livello locale, in modo da stimare l’impatto dei trasferimenti monetari sul numero di reati di corruzione (cioè dei colletti bianchi).
Lo studio della Banca d’Italia si concentra sui fondi UE destinati all’Italia meridionale, poiché nel sud Italia è stata impiegata la maggior parte dei fondi destinati al nostro Paese: il 70% del finanziamento nazionale.
Risulta importante evidenziare come l’impatto dei fondi strutturali, in termini di occupazione e aumento del PIL, è generalmente moderatamente positivo in tutti i Paesi dell’Unione Europea. Purtroppo, per quanto riguarda l’Italia, i dati sono meno favorevoli se confrontati con quelli degli altri Paesi UE. Inoltre, tra gli effetti collaterali, è stato riscontrato un più basso grado di cooperazione sociale nell’area ricevente.
Per ottenere una stima non distorta, i ricercatori della Banca d’Italia hanno comparato la correlazione tra lo stanziamento dei fondi europei e l’aumento dei reati di corruzione a parità di: dimensioni della popolazione locale, partecipazione della popolazione al mercato del lavoro, indice di disoccupazione, risultati educativi (il numero di laureati ogni anno), ciclo politico (il numero di anni dalle ultime elezioni locali e la quota di comuni con un sindaco che è al suo secondo mandato), nonché la crescita del PIL a livello regionale. Tutti questi dati sono stati estrapolati dalle relazioni ISTAT e dal registro italiano delle iscrizioni accademiche (MIUR). In altre parole, la ricerca è effettuata tramite una rigorosa strategia empirica che tiene conto di tutti i fattori capaci di alterare i risultati.
I reati dei colletti bianchi rappresentano una minima parte dei reati totali (nel 2007 solo lo 0,04% dei reati totali), ma questa quota è aumentata nel tempo fino a più che raddoppiare nel 2011, arrivando all’1% (aumento percentuale dovuto anche ad una diminuzione generale degli altri reati).
Dallo studio risulta che basta un aumento dei fondi pari al 10% per far aumentare dello 0,42% i reati dei colletti bianchi.
L’effetto è risultato essere dieci volte inferiore rispetto a quanto riscontrato in Brasile durante una ricerca analoga (Brollo, Nannicini, Perotti and Tabellini 2013), ed è spiegabile con il fatto che questa tipologia di reato è maggiore nelle economie meno avanzate. Un’altra differenza, rispetto al Brasile, è che in Italia i reati dei colletti bianchi coinvolgono in maniera minore i politici al secondo mandato, rispetto a chi ha la possibilità di essere rieletto. Bisogna tenere presente che i reati dei colletti bianchi coinvolgono sia politici eletti che funzionari pubblici non eletti.
L’approvazione della legge anticorruzione approvata nel 2012 ha invece generalmente ridotto il numero dei reati dei colletti bianchi nei comuni dove era possibile applicarla (comuni con più di 15.000 abitanti).
I ricercatori ci tengono però ad evidenziare come il valore dello 0,42% debba essere considerato un limite inferiore, poiché sono presenti numerosi controlli sulla spesa dei fondi che limitano il fenomeno della corruzione, e che in assenza di questi controlli l’impatto sarebbe stato probabilmente maggiore, così come si evince da ciò che accade in altri paesi.
In conclusione, dallo studio si rileva che i fondi UE, nel periodo 2007/2014, hanno subito uno spreco di risorse a causa di fenomeni corruttivi. Tuttavia, tali effetti possono essere ridotti intervenendo sulle procedure di assegnazione, erogazione e gestione dei fondi, e aumentando le responsabilità degli amministratori locali.