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A Macron gli sono rimasti solo i "suoi" intellettuali (e pure pochi)


Certo, il 5 maggio del 1789 a Versailles furono 1165 i deputati che si riunirono per gli Stati genarali (i prodromi della Rivoluzione francese), molti di più della sessantina di intellettuali che oggi, alle 18, si incontreranno col presidente Emmanuel Macron per fare il punto sulla situazione d’Oltralpe. Le Grand Débat, l’hanno chiamato. Un’idea non originale (l’avevano già fatto sia Sarkozy, sia Hollande, seppur convocando i chierici a gruppi), ma valida nelle intenzioni. Dunque, Macron fa bene, nel cercare di capire meglio cosa stia accadendo in Francia, tra gilets gialli, e calo di gradimento nei confronti dell’opinione pubblica.

Solo che da una scorsa all’elenco degli invitati - ammettendo che filosofi non progressisti, come Alain Finkielkraut, pur invitati abbiano declinato l’invito – si nota che siano ben pochi i liberal-conservatori che si siederanno col capo dello Stato francese. Dove sono, per esempio, Pierre Manent, Alain Besançon, Philippe Raynaud, Rémi Brague? Colpisce anche il fatto che il più grande economista francese, Jean Tirole, non sia uno degli eletti. Molto icasticamente, un vertice elitario che il sociologo francese François Bourricaud ha definito, e qui non necessita nessuna traduzione, un «bricolage idéologique». Tuttavia questa è una tendenza non solo francese, ma mondialista, in cui l’épisteme, il sapere autentico, è guardato con sospetto. Di fatto, a fare da consiglieri del principe, oggi saranno opinionisti e tuttologi, se si escludono persone come il filosofo Marcel Gauchet, il quale, tempo fa, sostenne che la rivoluzione “macroniana” è tutto, tranne una rivoluzione. Ma qui ciò che è in gioco è ancora una volta il ruolo dell’intellettuale. Qual è l’uso che se ne fa di esso? Qual è il suo posto, nell’epoca “dell’uno vale uno”? Si potrebbe ricordare uno dei più grandi pensatori di sempre, come Giovanni Gentile, per il quale ogni intellettualismo era da rifiutare, nella misura in cui rappresentava un “già dato”, un immutabile dato per scontato su cui edificare le impalcature della ragione.

Dunque, l’intellettuale dovrebbe, così come fa l’autentica filosofia, “meravigliare”, in un certo senso sorprendere con l’inaudito, il non ancora ascoltato. E ciò che davvero meraviglia, è che questo dovrebbe essere molto più chiaro a chi, come Macron, si vanta di essere stato uno degli allievi di uno dei più rilevanti filosofi del secolo passato, Paul Ricoeur. Al contrario, il presidente-filosofo Macron - quantomeno è questa la sua aspirazione – come si evince dallo scritto "Un personaggio di un romanzo", pubblicato nel 2017, da Philippe Besson, sostiene, ridimensionandoli, che intellettuali come Emmanuel Todd, Michel Onfray, o Regis Debray, Alain Badiou e Alain Finkielkraut «guardano con gli occhi di ieri, il mondo di ieri». Si chiama ermeneutica, ed era ciò che faceva Ricoeur: nel campo, un autentico maestro. Forse Macron dovrebbe rivolgere lo sguardo allo ieri di Ricoeur, aggiungendovi anche Raimond Aron, e tralasciare la sua nuova icona, Jürgen Habermas



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