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Bugie, spesa assistenziale e incentivi al malaffare: questo è il Def peggiore del governo peggiore


Numeri senza senso, mancette elettorali, incentivi a evadere il fisco, appalti facili per i corruttori: questo non è il cambiamento. Questa è l'evoluzione finale di un modello che ci ha portati sul ciglio del baratro. Buona fortuna, Italia

Filippo MONTEFORTE / AFP

Si parlava, la settimana scorsa, di nodi nelle vicinanze del pettine. La pubblicazione della bozza del Def avrebbe potuto offrirci l’occasione per una riflessione più approfondita sulla natura dei medesimi e sulla capacità del pettine governativo di scioglierli. Purtroppo non è così perché questo documento è solo una pericolosa pagliacciata. L’articolo potrebbe finire qui: questo testo è infatti incoerente e non dovrebbe essere fatto circolare. Lasciamo stare le cosidette “tabelle” – che dovrebbero dirci come sta andando l’economia italiana e cosa è ragionevole faccia in quel che rimane dell’anno e nei tre successivi – ancor più sconclusionate ed erronee di quelle dell’anno precedente che, come i fatti hanno abbondantemente provato, erano solo una sequenza di fandonie.

Speaking of which: dov’è finita la miracolosa crescita che, da balconi e pulpiti, i ministri di questo ridicolo governo annunciarono al popolo italiano dieci, sei e financo tre mesi fa? Non ne rimane traccia alcuna: chi ha scritto il Def non ha nemmeno provato a spiegare come sia mai successo che le balle di pochi mesi fa si siano già rivelate come tali. La funzione del documento di economia e finanza è solo quella di raccontarne di ulteriori nella speranza – anzi, “certezza” – che i media nazionali le ripetano all’elettorato scordandosi di chiedere che fine abbiano fatto le bugie dell’anno scorso.


Leggendolo, non è difficile capire come questo documento sia stato costruito: ognuno dei gruppi d’interesse che compongono questa maggioranza di governo ha messo per iscritto il suo slogan preferito e l’ha fatto avere agli estensori del documento, spesso scopiazzandolo semplicemente dal famoso “contratto” stilato poco meno di un anno fa. La parte del leone, ovviamente, la fanno gli slogan elettorali dei due grandi capi ma persino il Ministro Tria sembra esser stato autorizzato a contribuire, visto che, in un paio di occasioni, viene ripetuto che il governo intende operare per ridurre il costo del debito, ovvero lo spread! I funzionari del Mef han poi messo insieme questa incoerente lista di promesse elettorali e favori da sottogoverno, ottenendo un documento imbarazzante e incommentabile.


Qualcuno osserverà che è sempre successo così con i Def, da decenni. Questo è in parte vero, la qual cosa conferma una tesi a me cara: il governo rosso-brunato è la realizzazione compiuta dei metodi di governo e di raccolta del consenso che vigono in Italia da decenni. Ma siccome tale “compiuta realizzazione” ha comportato una degenerazione sostanziale nella qualità del prodotto, siamo oggi di fronte ad un livello completamente nuovo di pericolosa incoerenza ed irresponsabilità governativa. Questo non è un documento che un governo d’un paese avanzato possa andare a discutere in qualsiasi consesso internazionale.


La politica fiscale è tanto elettorale quanto irresponsabile: Il quadro che ne esce è quello di un disperato taglio elettorale delle imposte che non razionalizza il sistema fiscale né lo rende maggiormente efficiente perché costruisce svariati effetti “soglia”che incentivano a dismisura elusione ed evasione

Dove la miseria politica del governo rosso-brunato appare maggiormente manifesta, però, è nella lista dei provvedimenti legislativi che s’intendono adottare, pomposamente riassunti a pagina 13 nel “Cronoprogramma” – mi viene detto che il ridicolo neologismo sia idea di Matteo Renzi, a conferma della continuità ideale. C’è di tutto, a parole, mentre, di fatto, vi è estremamente poco. Ma qualcosa c’è e sono segnali che puntano coerentemente nella medesima direzione: il governo della forchetta, l’ufficiale ritorno al potere dell’italietta più mediocre, miserabile e truffaldina. Il Def annuncia infatti due blocchi di provvedimenti sostanziali: il primo ha a che fare con il sistema fiscale ed il secondo con quello delle opere pubbliche. Altro, di sostanziale, non c’è se non il (troppo tardivo) ritorno alla politica di agevolazioni del governo precedente per le imprese che reinvestano utili o facciano investimenti rientranti nella categoria “4.0”.

La politica fiscale è tanto elettorale quanto irresponsabile: reiterate promesse di sterilizzazione degli aumenti programmati dell’IVA (la cui attendibilità risulta ogni giorno minore) sono accompagnate da una miriade di riduzioni dei carichi fiscali e previdenziali su lavoratori autonomi, piccole imprese e redditi inferiori ai 50mila euro. Il quadro che ne esce è quello di un disperato taglio elettorale delle imposte che non razionalizza il sistema fiscale né lo rende maggiormente efficiente perché costruisce svariati effetti “soglia”che incentivano a dismisura elusione ed evasione mentre discriminano ingiustamente fra gruppi diversi di contribuenti. A fronte della riduzione di gettito fiscale che queste misure, se adottate, implicherebbero troviamo solo una generica affermazione secondo cui un minor gettito sarebbe “probabile”. Nessuna stima, anche solo approssimativa, viene fornita e, soprattutto, da alcuna parte vengono menzionati i, sostanziali, tagli di spesa che sarebbero necessari per evitare che questi provvedimenti generassero un aumento del deficit strutturale ben maggiore di quello 0,9% che, comunque, anche questo scalcagnato documento ammette esser stato il frutto dei provvedimenti presi sino ad ora. Siamo in piena follia da Laffer-curve.

La politica degli appalti – al di là dei nomi fantasiosi, degli annunci altisonanti e dell’incompeteza del Ministero dei Trasporti che si fa chiamare Mit ma i cui contributi mancano ancora alla bozza in circolazione – si può riassumere nella decisione di riaprire i cancelli della corruzione pur di far entrare nel mercato degli appalti pubblici le Pmi del cui supporto questo governo, e la Lega in particolare, hanno disperato bisogno. Ora, mentre è chiaro a tutti che l’attuale regime impone costi inutili e crea barriere artificiose, è altrettanto ovvio che un secolo e mezzo di corruzione dilagante nel comparto degli appalti pubblici nazionali suggerirebbe ben altro meditato e studiato intervento che la congerie di cancellazioni, abrogazioni ed esenzioni che questo Defannuncia per il settore. È il cambiamento che avanza.

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