Il grande gelo tra gli industriali e il governo
All'assemblea generale di Confindustria la platea concede a Conte e Di Maio solo tiepidi applausi di cortesia prima e dopo gli interventi, svoltisi in un silenzio quasi surreale, mentre il Capo dello Stato è stato accolto da una lunga ed ostentata standing ovation.
A suo modo è stata una giornata storica, mai come ieri all’assemblea generale di Confindustria è stato palese il distacco tra governo e imprese e non perché siano mancati da parte del presidente dell’associazione degli industriali, Vincenzo Bocca e da parte dei due rappresentanti dell’esecutivo, il premier Giuseppe Conte e il ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, i riconoscimenti reciproci e lo sforzo di appianare le differenze e favorire il confronto. A rappresentare in maniera plastica la distanza tra governo e imprenditori è stato il silenzio totale e paradossalmente quasi assordante che ha accolto le parole dei due esponenti della coalizione giallo verde. Per Di Maio e Conte ci sono stati solo due applausi di cortesia, brevi e poco calorosi, all’inizio e alla fine dei discorsi, Un battimano stanco apparso così eloquente se paragonatio alla lunga, prolungata e persino ostentata standing ovation che ha accolto l’ingresso nel grande auditorium romano del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, una replica non casuale dell’ovazione che accolse lo stesso Mattarella il 7 gennaio scorso quando apparve nel palco reale per assistere alla prima della Scala.
Si sapeva che una parte degli industriali era pronta a praticare come forma di protesta uno sciopero degli applausi ma la gelida accoglienza manifestata dall’intdra platea ha stupito e imbarazzato anche i membri della giunta nazionale seduti sul palco. E a colpire è stata soprattutto la coralità, si scusi l’ossimoro, di questo ostentato silenzio. Quando, per esempio, nel marzo del 2006, a due mesi dal voto politico che portò alla fine del III governo Berlusconi, punto più basso dell’altalenante rapporto tra il Cavaliere e Confindustria, mentre l’allora premier sfogava dal palco del convegno degli imprenditori di Vicenza tutto il suo astio per la maggioranza confindustriale da lui identificata nella figura di Diego Della Valle, in platea si sfiorò la rissa tra imprenditi pro e contro Berlusconi, in una bolgia di fischi e applausi. Ieri, invece un silenzio gelido che si tagliava con il coltello.
Eppure il presidente Boccia per il suo quarto e ultimo discorso da presidente di fronte all’assemblea nazionale, si era sforzato di seguire la linea dell’ottimismo della volontà, evitando di rivangare il tempestosi rapporti d’inizio di legislatura con la maggioranza gialloverde (guerra alla commissione Ue e ai limiti di deficit, blocco della Tav e delle Grandi opere, solo per citarne alcuni dei temi, più controversi), per gettare lì dal palco un appello a maggioranza e opposizione per un patto sulla crescita per “evitare un autunno freddissimo“ per l’economia nazionale. Per Boccia serve un “vero e proprio atto di generosità" nei confronti delle nuove generazioni”, visto che solo per rispettare i vincoli di bilancio nazionali ed europei, servirebbe una manovra strutturale per il 2020 da 32 miliardi e non è chiaro nemmeno come si possa evitare l’aumento dell’Iva e finanziare la flat tax. Di qui l’invito al Paese "a restare unito e compatto", lanciato da una Confindustria, che per il presidente uscente non è “né maggioranza, né opposizione” e i cui membri non sono “né popolari, né socialisti o populisti. Siamo italiani, siamo imprenditori”.
Semmai le critiche, senza mai nominarlo, sono al grande assente, l’altro vicepremier Matteo Salvini, visto che Boccia se l’è presa con “la bulimia di consenso immediato affida ai social la ricerca di una popolarità che si misura in termini di like" e il "presentismo imperante è una malattia molto grave perché impedisce di vedere oltre il finire del giorno. La superficialità si fa regola. Noi invece abbiamo bisogno di studiare, costruire, progettare". E rivolgendosi direttamente al presidente del consiglio seduto in prima fila, Boccia lo ha esortato a chiedere “più Europa, ma migliore". Un'Europa più forte in politica estera, "più coraggiosa in politica economica, più solidale nelle politiche migratorie. Chieda un'Europa più unita". Per poi elencare i punti indispensabili per far ripartire la crescita:: riduzione del costo del lavoro, un “piano shock" per le infrastrutture, 10 mila assunzioni per far ripartire e innovare la pubblica amministrazione, snellimento dei tempi della Giustizia, intervento della Cassa depositi e prestiti per pagare i debiti della Pa con le imprese, spending review per reperire risorse e migliorare la spesa, credito d’imposta “strutturale” per gli investimenti al Sud, una legge sulla rappresentanza che individui “con certezza quale sia il contratto collettivo da prendere a riferimento per la retribuzione giusta", incentivazione della moneta elettronica per contrastare l’evasione fiscale. In cambio Confindustria a pronta a dire sì a “una maggior compartecipazione alla spesa pubblica per le classi più abbienti, cominciando da sanità, scuola e trasporto pubblico locale, per finanziare una generale riduzione del carico fiscale”.
Anche Di Maio ha eliminato qualsiasi spunto polemico facendo semmai l’elogio della contaminazione delle idee, del confronto, del dialogo costante e addirittura del compromesso, rivendicando anche la bontà di una sana retromarcia come quella fatta sul “super ammortamento su cui abbiamo deciso di tornare indietro, rivedendo quanto deciso durante l’approvazione della Legge di bilancio”. Impersonando il ruolo del pompiere dopo aver rappresentato a lungo la parte dell’incendiario, ha assicurato che “la flessibilità è parte integrante del nostro metodo di lavoro, quando c’è da cambiare idea lo facciamo volentieri”. Le sue proposte sono però cadute nel vuoto di reazione della platea, anche perché per lo più si trattava di promesse di un maggior coinvolgimento degli industriali nelle varie cabine di regia che il governo sta per attivare tra progetti sulle blockchain e piani per la banda larga anche nelle “aree grigie”, gli impegni concreti e immediati non sono andati oltre l’assicurazione di rendere stabili i meccanismi d’incentivazione del piano Industria 4.0, anche se ha fatto capire che saranno rivisti al ribasso gli stanziamenti: “La certezza dell’aiuto è ancora più importante dell’intensità!”. Più apprezzato, semmai, l’accoglimento dell’appello di Boccia a fare di tutto perché all’Italia tocchi nella nuova Commissione Ue un commissario economico di peso. Sulla stessa linea anche l’intervento di Conte, che dimenticate le previsioni di un 2019 “bellissimo” ha preferito trasmettere un messaggio più cauto: "Nel nostro Def abbiamo stimato una crescita prudenziale dello 0,2% ma siamo ferocemente determinati a superare questo livello".