Lettera di un amico italiano dalla Cina. Un professionista che combatte quotidianamente contro sleal
NB: OBOR è acronimo di One Belt one Road, uno degli infiniti nomi che i cinesi hanno dato al loro famigerato progetto di conquista geopolitica conosciuto in Italia come la Nuova Via della Seta.
Pubblichiamo con piacere questa bella ed interessante lettera di un amico che vive in prima persona “l’esperienza cinese“.
Spossato dalle difficoltà e dalla slealtà che deve quotidianamente contrastare, conserva comunque un briciolo di ottimismo che gli invidiamo. Il nostro profondo pessimismo è causato dalla pochezza dei nostri rappresentanti politici e della nostra governance. Con questi “fenomeni“, esattamente come quelli che li hanno preceduti negli ultimi 30 anni, andremo a sbattere contro il muro. E questa volta ci faremo molto male.
Buonasera Marzio, La ringrazio per i contenuti e lo stimolo al ragionamento che porta anche agli Italiani residenti all’estero.
Sono ormai in Asia da 5 anni e ho avuto modo di entrare più volte in contatto con i Cinesi per business e per motivi personali.
Vedo il mio Paese trarre conclusioni e rosee aspirazioni nei confronti della OBOR Cinese con una leggerezza e una superficialità spiazzante. Associazioni infantili del tipo “I Cinesi hanno sollevato dalla povertà 800 milioni di persone..quindi sono bravi vanno imitatati, é un grande mercato”. L’Italia Costituzionale, Democratica e Libera che si affida al più grande regime autocratico e totalitario del mondo…a carte scoperte sul tavolo.
Vedo la Cina presentarsi all’Europa come la nuova forza globalizzatrice in alternativa agli Stati Uniti. Si..la Cina paladina della globalizzazione, della libertà di stampa, dei diritti umani e del lavoratore. Così paladina che quando io con i miei prodotti biologici cerco di portare il bello e il sapore del Made In Italy in Cina mi scontro con regole arbitrarie, burocrazia dilagante, tempi di clearance arbitrari, richieste di certificati di qualunque genere, addirittura richieste di condivisione delle ricette(ci provano spudoratamente, soprattutto con quei tessuti sociali ignari e con la presunzione di sapere tutto), tasse di importazione altissime.
E l’Italia dopo avere venduto a Pechino il suo know-how, ma anche dopo essere stata vittima di furti del know-how, riceve i prodotti dalla Cina con tappeti rossi, si quei prodotti, anche frutto del nostro know-how, e ora fatti a un quinto del prezzo in Cina e rivenduti bene agli Italiani che ora hanno un potere di acquisto ridotto. La Cina si presenta al mercato internazionale paventando serietà e professionalità. Tutta una finzione perchè l’unico obbiettivo di Pechino e’ la “Sharp Colonization” con mano d’opera, lavoratori, materiali tutti dalla Cina, senza alcun vantaggio per i lavoratori e delle famiglie del paese preso di mira che a poco a poco scompaiono, assieme alla cultura e alle tradizioni del paese conquistato. Le aziende Cinesi sono tutte con il governo di Pechino alle spalle che sovvenziona con flussi di denaro infiniti (lo Yuan non è regolato, viene manipolato, non si sa quanto e quando stampano moneta). Lo vediamo in questi mesi con aziende Cinesi come Luckin Coffee, Huawei, CRRC che competono in maniera sleale, senza rispettare le regole di mercato e vendendo in perdita per attrarre i consumatori (tanto ci pensa il governo che stampa moneta a tenere il bilancio a galla). Il fatto di aver potuto rappresentare ad alto livello il mio Paese nel cuore del dinamico mercato asiatico mi rende molto felice. Cosi’ come il Giappone, povero di risorse ma forte della spinta manifatturiera, l’Italia dovrebbe fare dell’export di qualita’ la punta di diamante della sua economia. La pressione competitiva dalla Cina, non sempre leale, per usare un eufemismo, sta crescendo esponenzialmente e le sue mire espansionistiche da “soft colonization” sono sostenute dalle economie di scala, dalla creativita’ fiscale e dalla spinta demografica che il governo puo’ mettere sul campo. Detto questo credo che ci siano ancora importanti spazi di manovra per quelle economie avanzate che investono nella tecnologia di alto livello e in quei prodotti dove la specificita’ geografica garantisce il brand e il vantaggio competitivo. Tutto cio’ va chiaramente coadiuvato con politiche attente di protezione del know-how e di incentivo al mantenimento della capacita’ produttiva entro i confini del proprio Paese o perlomeno all’interno di quella comunita’ piu’ ampia che garantisce regole certe e diritti dei lavoratori. Non le nascondo che in questi due anni in Asia ho sviluppato un grande interesse e stima per il modello Giapponese e del quale cerco sempre di imparare di piu’.
Per quanto riguarda invece la Cina, seppur consapevole degli enormi passi in avanti fatti, penso sia necessaria molta cautela, soprattutto ora piu’ che in passato perchè l’identità dittatoriale e la volontà espansionistica oppressiva di cancellazione delle altre culture e identità è evidente.
Con grande piacere ho deciso di condividere con lei i miei pensieri e si senta libero di condividerli in maniera anonima.
Grazie A.