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Libia ed elezioni europee




L’offensiva delle truppe del Generale Haftar si è rivelata per quello che era: una mossa politica in vista della Conferenza Onu sulle elezioni libiche. Ai primi di aprile le Nazioni unite hanno rinviato a data da destinarsi la conferenza stessa.

Da un punto di vista militare Haftar ha ottenuto vantaggi tattici niente di più. Gli obiettivi importanti, Tripoli e Misurata, sono rimasti inconquistati. Come scritto nel precedente articolo questa offensiva era destinata sul nascere ad essere irrilevante per due motivi: l’insufficiente capacità militare di Haftar e i limiti geopolitici. Per l’Egitto, autentico e fondamentale protettore della Cirenaica, un Haftar nelle vesti di novello Gheddafi con una Libia centralizzata ai propri confini occidentali è uno scenario negativo. Il Cairo predilige una Libia confederata tra Bengasi e Tripoli. Uno stato geopoliticamente più debole.

Si può sostenere che il Generale abbia deciso autonomamente tale mossa per poi ritrovarsi con il “fiato corto” (visita di Haftar in Egitto da Al Sisi). Gli altri attori esterni (Francia, Russia, Turchia, Arabia saudita, Qatar, Emirati arabi uniti) rivestono un ruolo puramente secondario.

Allo stesso tempo il Premier del governo riconosciuto dall’Onu, Al Sarraj, è rimasto sulla difensiva. Si è affidato alla propaganda accennando ad un possibile complotto francese. Parigi non ha ruolo importanti nella regione. Il vero legame esterno per Al Sarraj è con l’Italia. Da parte di Roma c’è stato un sostegno ufficioso in mezzi e strumenti militari quando la Ministra Trenta, giustamente, parlava di non intervento militare italiano. Da sottolineare una autentica bufala sulla Libia: un possibile appoggio americano verso Haftar. Gli Usa per il momento si disinteressano sovranamente di Tripoli e Bengasi.

Il Parlamento inglese ha respinto la proposta europea di uscita con un confine morbido tra Ulster e Irlanda. Stesso discorso per una possibile uscita senza accordo di Londra dalla UE. A questo punto il Regno unito parteciperà alle elezioni europee di maggio. Situazione paradossale. Probabilmente più dannosa per Bruxelles che per Londra visto che l’Unione europea è composta da 28 paesi. La qual cosa significa che l’istituzione europea è molto più complessa e difficile da manovrare che non il Regno unito. Come sottolineato dal Presidente francese Macron. Quest’ultimo ha affermato come la partecipazione britannica alle elezioni di maggio potrebbe creare non poche difficoltà. Diverso invece l’approccio tedesco. Berlino ha evitato in tutti i modi politiche esplicitamente aggressive verso la sponda settentrionale della Manica.

E’ possibile ritenere che la Germania abbia, in ogni caso, un atteggiamento ecumenico, inclusivo, teso a preservare tale Unione europea. A Berlino sono consapevoli che un indebolimento, o peggio la fine, del soggetto europeo equivalga a un indebolimento della posizione internazionale tedesca.

Partendo da questo presupposto le prossime elezioni europee saranno ininfluenti per un cambiamento degli equilibri politici nel Vecchio continente. Per Germania, Francia e i paesi dell’est è vantaggiosa l’attuale Unione europea. Per Parigi e Berlino per appianare le classiche divergenze mentre ai paesi orientali come ulteriore protezione verso la Russia. Da ciò rimane fuori l’Italia. Roma per peso demografico, economico e per posizione geografica non può trarre vantaggi dall’attuale impalcatura europea. Come protezione militare è più che adeguata l’alleanza atlantica mentre per l’aspetto economico-commerciale l’UE e soprattutto l’euro si stanno rivelando ingombranti zavorre.

Non a caso solo il vincolo esterno europeo (aumento dell’Iva) potrà far cadere l’attuale esecutivo italiano. Poiché è difficile ritenere che siano gli stessi Lega e M5S ha porre fine al governo. Visto che le alternative per i giallo-verdi sarebbero peggiori. Per i pentastellati un dialogo con il PD. Mentre l’ex partito di bossi dovrebbe guidare una coalizione di centro-destra ma avendo allo stesso tempo il pesante punto debole delle autonomie regionali.

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