Sea Watch, Otto Schily: «Il mio Paese non dia lezioni di morale all’Italia»
L’ex ministro dell’Interno tedesco: «L’azione di Carola è un regalo a Salvini. La Germania ha fatto poco per dare una mano all’Italia»
Una voce fuori dal coro. Quella di Otto Schily, l’avvocato socialdemocratico da sempre paladino dello Stato di diritto ma anche del diritto dello Stato, che è stato ministro degli Interni nel governo rosso-verde del cancelliere Gerhard Schroeder. Schily ci parla dalla Toscana, per lui un luogo dello spirito, che da decenni ha ormai eletto a sua seconda Heimat.
Carola Rackete, la capitana della Sea Watch, è un’eroina o una criminale? «Né l’una né l’altra. Non è sicuramente una criminale. E ovviamente non si può che lodare il suo sforzo di salvare delle vite umane. E non si può che esser d’accordo con chi dice che salvar vite umane non è un reato. Ma la questione è un’altra, completamente diversa: e cioè se un privato possa prendere a bordo delle persone in mare per poi costringere un Paese ad accoglierli».
Carola Rackete ha violato la legge italiana attraccando di forza a Lampedusa. «Certo. Qui entriamo nelle modalità concrete del suo tentativo. La sua è stata una manovra rischiosa, che ha messo in pericolo di vita l’equipaggio di una motovedetta italiana. Questa cosa non può essere ignorata. E anche se trovo l’arresto della capitana esagerato, credo che l’apertura di un procedimento penale nei suoi confronti sia stata inevitabile, sarebbe successa la stessa cosa in Germania».
Come giudica l’azione sul piano politico? «Non trovo molto intelligente provocare il ministro degli Interni in carica, dicendo che deve “mettersi in fila”. Premesso, è noto che io non sono un sostenitore di Matteo Salvini, anzi mi riconosco nello schieramento che in Italia gli si oppone, quello della sinistra, e considero la politica della Lega sbagliata e pericolosa. Ma azioni come quella di Carola Rackete sono un regalo a Salvini, destinate ad aiutarlo e a far aumentare il suo consenso».
Ma le autorità tedesche hanno difeso la comandante della Sea Watch. «Io trovo sbagliato che i tedeschi si ergano a maestri di morale in Europa. In particolare nei confronti dell’Italia, che si trova in una situazione molto problematica sul fronte dell’immigrazione. Da anni la Germania, ma non soltanto la Germania, ha fatto poco o nulla per darle una mano e per favorire un consenso europeo su una ragionevole politica migratoria comune. L’Italia ha una delle maggiori esperienze di migrazioni dell’Unione europea e non può essere certo considerata un Paese ostile agli stranieri».
Ma che si deve fare con gli immigrati clandestini, che prendono il mare grazie all’aiuto di bande criminali? «Certo che non si può farli morire nel Mediterraneo. Il problema è che cosa fare dopo averli salvati. Non si può portarli in Europa. Altrimenti diventa un circolo vizioso. Occorre trovare una soluzione prima, nei Paesi d’origine o di transito finale, dove occorre poter identificare le persone. Non c’è ancora una soluzione ma occorre lavorarci e cercarla tutti insieme: l’Unione europea, i Paesi coinvolti, le Nazioni Unite. Ma non funzionano azioni come questa, per presentarsi da eroi di fronte all’opinione pubblica internazionale».
Le Ong devono avere un ruolo? «Non metto in discussione la bontà dei loro principi. Ma uno non può solo porsi il problema di raccogliere le persone in mare, senza pensare a che cosa farà dopo. La salvezza in mare è un compito degli Stati ed eventualmente dell’Unione europea, non di organizzazioni private. La grande questione sociale delle migrazioni non sarà risolta con azioni private, che pure sono da lodare».
1 luglio 2019 (modifica il 1 luglio 2019 | 11:38