I deceduti per Covid-19 che avevano zero patologie sono solo il 3,9%
Su un campione di 2848 deceduti 1.704 (59,8%) avevano più di tre patologie pregresse (cardiopatie, ipertensione, diabete, cancro, epatite, insufficienza renale, dialisi, Hiv e obesità; 608 (21,3%) due patologie; 425 (14,9%) una patologia; appena 111 (3,9%) nessuna malattia
I dati sono aggiornati al 14 maggio 2020, meno di una settimana fa. E di certo solleveranno non poche polemiche contro il lockdown e l'uso politico che ne è stato fatto dal governo e dai suoi consulenti scientifici, un uso cinico per alcuni, tollerabile per altri, in ogni caso con evidenti danni economici e limiti discutibili imposti alla democrazia. Mi riferisco ai dati del primo rapporto realizzato congiuntamente dall'Istituto superiore di sanità (Iss) e dall'Istat sugli effetti della pandemia in Italia. È intitolato «Impatto dell'epidemia Covid-19 sulla mortalità totale della popolazione residente primo trimestre 2020», disponibile sul web in italiano e in inglese.
La base statistica è ampia e riguarda l'86% della popolazione italiana residente. Di conseguenza, le tabelle e i grafici sono numerosi. Ma il dato che più colpisce è questo: i deceduti per Covid-19 che non avevano patologie pregresse sono stati appena il 3,9% del totale. A conti fatti, un numero di morti inferiore a quello delle vittime di incidenti stradali mortali o di una normale influenza. Ma prima di arrivare alle conclusioni, è bene riassumere metodo e contenuti dello studio.
L'analisi si basa su 29.692 pazienti deceduti e positivi al Coronavirus in Italia, fino alla data del 14 maggio (ora i morti sono più di 31 mila). Il numero maggiore riguarda la Lombardia, con 15.185 decessi, il 51,1% del totale. Seguono: Emilia-Romagna 3.905 (13,2%), Piemonte 2.196 (7,4%), Veneto 1.746 (5,9%), Liguria 1.277 (4,3%). Un gruppo di regioni hanno avuto meno di mille morti ciascuna: tra queste, Toscana 928 decessi, Lazio 572, Puglia 461, Campania 346. Meno di cento morti ciascuna in quattro regioni: Calabria, Umbria, Basilicata e Molise. L'età media dei deceduti, su scala nazionale, era di 80 anni, più bassa negli uomini (79), più alta nelle donne (85).
Il focus dello studio si concentra, poi, su 2.848 deceduti per i quali, precisa l'Iss, «è stato possibile analizzare le cartelle cliniche». In questo modo si è potuto accertare se gli italiani deceduti di questo campione, e positivi al Covid-19, fossero stati affetti in precedenza da altre patologie, e quali, in un range che comprende: cardiopatie, ipertensione, diabete, cancro, epatite, insufficienza renale, dialisi, Hiv e obesità. Risultato: 1.704 (59,8%) avevano più di tre patologie pregresse; 608 (21,3%) due patologie; 425 (14,9%) una patologia; appena 111 (3,9%) nessuna malattia precedente.
Proiettando su scala nazionale i risultati di questo campione di 2.848 deceduti, pari al 9% dei morti ufficiali, si può stimare che in Italia vi sono stati 1.150 morti da Covid-19 senza patologie pregresse, e poco più di seimila con una sola patologia pregressa. Dati inferiori di molto non solo ai circa tremila morti l'anno che si registrano, in media, per gli incidenti stradali, ma anche agli ottomila decessi, tra diretti e indiretti, causati di solito dalle influenze stagionali.
Lo studio congiunto dell'Istituto superiore di sanità e dell'Istat approfondisce altri aspetti, quali le terapie applicate ai pazienti, i tempi di degenza negli ospedali e le cause di morte dei deceduti con meno di 50 anni. Ma è evidente che i dati che più si prestano, d'ora in poi, alle inevitabili polemiche politiche sono: il 3,9% dei deceduti senza patologie pregresse, dato oggettivamente basso, e i numeri dei contagi e dei decessi che nella maggioranza delle regioni sono stati molto contenuti rispetto all'unica vera zona rossa, cioè la Lombardia, dove vi è stato il 51% dei deceduti totali. Una vera ecatombe, dove i fattori che meritano di essere indagati a fondo, possibilmente da scienziati veri e non solo dalla magistratura, sono numerosi: l'origine del virus, la sua sottovalutazione politica, il ritardo e la scarsa sintonia degli interventi politici e sanitari, sia locali che del governo nazionale, con punte di colpevole leggerezza nelle residenze per anziani, e punte di eroismo medico nelle terapie intensive.
Il tutto per tentare di redigere un protocollo sanitario valido per l'immediato futuro, dai tamponi ai test ai tracciamenti, meglio se copiato di sana pianta dalla Germania, facendo a meno dei virologi da salotto tv. Ma, soprattutto, per fare piazza pulita dell'uso strumentale del lockdown, fin qui praticato senza tregua da parte di noti guitti politici e di governo, i quali, pur non avendo alcuna legittimazione democratica, hanno abusato della tv e dei giornaloni per paragonarsi a Churchill mentre dispensavano decreti lesivi della sovranità del parlamento e del confronto democratico, decreti che promettevano in modo roboante aiuti economici che non sono mai arrivati né alle famiglie, né alle imprese, né ai lavoratori autonomi. Con l'effetto di radere al suolo una parte dell'economia privata, che, a differenza dei feudi pubblici dove lo stipendio è garantito, difficilmente riuscirà a riprendersi.
È giunta la fase due e gli italiani, presi in giro anche dal decreto di 55 miliardi dopo il decreto beffa di 400 miliardi, hanno capito che, ancora una volta, dovranno fare da soli, con sacrifici che si annunciano durissimi. Inaccettabili se imposti da guitti senza più alcuna credibilità