L’accoglienza di Stato a Silvia/Aisha, ovvero come trasformare un successo in un boomerang mediatico
Silvia Romano tra il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio a Ciampino.
* L’autore è membro del Comitato Scientifico della Società Italiana di Intelligence. Le opinioni qui espresse non impegnano l’organizzazione.
Il 10 maggio 2020 è una data che rimarrà scolpita nella storia e negli album fotografici digitali della Repubblica italiana e sarà oggetto di studio in tutte le accademie militari del mondo e corsi universitari di intelligence, geopolitica e protezione strategica dei sistemi paese.
Veniamo ai fatti.
Molti media hanno riferito di come, a partire dal mattino, la scena all’aeroporto militare di Ciampino venga preparata con cura, a beneficio di tutte le televisioni, i media e i siti web del mondo (e ciò persino con il rischio di contagio per operatori e giornalisti accalcati).
Alle ore 14:00 atterra l’aereo militare. Si apre il portellone ed esce, sorridente, la giovane volontaria italiana rapita in Kenya da un gruppo terroristico fondamentalista il 20 novembre 2018. La prima cosa che attrae l’attenzione è lo jilbab verde che “Silvia” – come tutti la chiamano – indossa, segno evidente di una conversione religiosa.
Ad attendere “Silvia”, con gli onori che – è stato scritto anche questo – il protocollo ufficiale riserva, proprio a Ciampino, a Capi di Stato e di Governo, vi sono il Presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri – quest’ultimo con una vistosa mascherina raffigurante il tricolore, il vessillo della Repubblica Italiana.
In molti tirano un respiro di sollievo. Il Paese, finalmente potrà, in nome del ritorno a casa di “Silvia”, ritrovare un momento di unità e fiducia dopo la tragedia del Covid-19.
Ma qualcosa non va nella direzione giusta.
Le reazioni in Italia
L’Italia sembra compatta nel gioire per il ritorno in patria della giovane connazionale. Una parte dell’opinione pubblica esprime tuttavia, in modo civile – ancorché fermo –, critiche contro quei cooperanti che mettono a repentaglio la propria vita in Paesi pericolosi, costringendo poi lo Stato ad impiegare significative risorse umane e finanziarie (indipendentemente dal pagamento o meno di riscatti) per il loro salvataggio. Ovviamente non mancano le persone e le organizzazioni (anche politiche) che esprimono rispetto sia per la scelta di “Silvia” di offrire aiuto alle popolazioni dell’Africa, che per la sua conversione religiosa. Su quest’ultimo tema Umberto Galimberti, dalle pagine de La Stampa scrive parole importanti: “E allora perché la conversione? Non lo sappiamo. E non dobbiamo neppure indagare, per non violare quel segreto che ciascuno di noi custodisce nel profondo della propria anima, quale è appunto la nostra dimensione religiosa”.
Fin qui siamo nei confini di un dibattito “sereno”.
Come era prevedibile l’esposizione mediatica della giovane donna provoca reazioni senza controllo “nella pancia” di una popolazione che è in grande sofferenza psicologica ed economica a causa della pandemia e che da tempo mostra intolleranza verso gli immigrati musulmani e verso gli effetti negativi della globalizzazione – primo fra tutti i mercati delle merci e dei servizi aperti che generano disoccupazione e perdita di identità.
Siamo di fronte al tema introdotto nel 1996 da parte dello scienziato politico statunitense Samuel P. Huntington con la pubblicazione del libro “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”. Le tesi dell’autore sono note: la principale fonte di conflitti nel mondo contemporaneo diventeranno le identità culturali e religiose.
Siamo di fronte a argomenti terribilmente complessi, soprattutto per chi è privo di adeguati strumenti culturali per la analisi critica dei cambiamenti.
Come era prevedibile una moltitudine di cittadini, di esponenti della politica e dei media, avviano l’opera di calunnia della vittima del rapimento – complici anche le voci sul pagamento del riscatto e della gravidanza (non importa se vere o false). L’obiettivo è quello di gettare benzina sul fuoco su religioni non gradite – questa volta non è quella ebraica, bensì l’Islam –, il tutto senza alcuna conoscenza della ricchezza culturale del mondo arabo, la cui civiltà ha plasmato il mondo occidentale.
E non è tutto. Internet, telefoni cellulari hanno rubato il tempo e lo spazio che nell’’era analogica’ era riservato alla discussione e al dibattito; le televisioni diventano la nuova agorà dove si celebrano processi spesso sommari, allestiti sulla base dei tempi della pubblicità e con la presenza di ospiti in veste di teatranti. Vi è chi coglie l’occasione per criticare aspramente il governo e non mancano coloro i quali si divertono a creare e distribuire immagini ironiche ovvero denigranti.
Riavvolgiamo il nastro
Il Presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri si recano ad accogliere all’aeroporto militare, in rappresentanza ufficiale dell’esecutivo la giovane concittadina per la cui liberazione lo Stato ha messo in campo – con tutti i rischi che ciò comporta per la loro vita nei teatri dominati dal terrore – i migliori uomini dell’intelligence e le loro relazioni con i colleghi di altri Paesi.
I due rappresentanti del governo sono stati informati del percorso della giovane connazionale. “Silvia” non c’è più. Al suo posto “Aisha”, nome che nell’Islam ha un grande significato, essendo stato quello della più giovane moglie del profeta Muhammad.
La macchina della ricerca del consenso corre già ad altissima velocità, ma è priva di mani sapienti ed esperte in grado di guidarla (il prof. Massimiliano Panarari, intervistato da Formiche.net parla di “spinta comunicativa ai limiti dell’ossessione”). Bobo Craxi, uomo politico e di cultura che conosce le relazioni internazionali e il mondo arabo, sulle pagine di l’Avanti on Line usa toni corrosivi: “ineffabile coppia mediatica”. Non sembra essere un caso che, nelle stesse ore di questa domenica che sta diventando terribilmente complicata, il Ministro della Difesa – del quale il prof. Panarari sottolinea “equilibri e silenzi comunicativi in materie così delicate” –, rimanga a lavorare nelle stanze di Via Venti Settembre.
Un successo innegabile del Governo si sta trasformando in un intreccio inestricabile.
Vediamo perché.
Gianandrea Gaiani, direttore del magazine online AnalisiDifesa.it si incarica di spiegare la delicatissima partita che l’Italia ha deciso di giocare in solitudine. Leggiamo: “[l]’aspetto su cui è invece doveroso esprimere critiche, anche molto accese, riguarda la comunicazione del rimpatrio di Silvia Romano. Quelle immagini della giovane italiana che scende dall’aereo a Ciampino col capo islamicamente coperto, indossando un vestito somalo da donna musulmana, accompagnate dalle dichiarazioni circa la sua libera conversione all’Islam rappresentano un formidabile successo propagandistico per al-Shabab, per al-Qaeda e tutta la galassia jihadista e dell’estremismo islamico. Non è difficile immaginare quanto a lungo queste immagini verranno utilizzate dalla propaganda islamica per dimostrare alla loro opinione pubblica di riferimento, quella del mondo islamico, la loro superiorità ideologica”.
Ai giovani universitari che frequentano i master di protezione strategica dei sistemi paese viene insegnato che i gruppi estremisti islamici utilizzano sofisticate tecnologie e tecniche – anche mediante il ricorso al deep web (e anche al dark web) per diffondere la propaganda e organizzare il proselitismo.
Il 10 maggio la pubblicità è andata in onda, è il giudizio diffuso di esperti e commentatori, in mondovisione dagli schermi di Ciampino: la giovane ha potuto fare persino dichiarazioni tranquillizzanti alla stampa sul trattamento riservatole durante la prigionia, senza che le siano stati prescritti alcuni giorni per riposarsi, per ritrovarsi, per riflettere e interrogarsi a mente fredda sulla tragedia che l’ha colpita. Chissà, forse anche per capire le vere ragioni di una scelta di vita che appare irreversibile.
Ma altri errori sono in agguato. Viene assunta la decisione di inviare Aisha nella popolosa Milano, dove vive la famiglia. Nel caseggiato si scatena la ressa – in barba alla pandemia. Aisha può affacciarsi dalla finestra di casa e, in qualità di novella predicatrice vestita con una palandrana verde, dispensare sorrisi e serenità.
La conclusione del direttore di AnalisiDifesa.it è inesorabile. Dal rapimento i terroristi incassano due grandi successi: “quello finanziario con milioni di euro da investire nel jihad [questa convinzione dell’autore è fermamente respinta dal Governo] e quello mediatico incassato con la presentazione di una giovane ‘infedele’ che, dopo essere stata rapita, afferma di essere stata trattata bene e di avere aderito spontaneamente all’Islam”.
Il rientro della giovane, insiste lo studioso e analista, “specie in quel contesto e con la simbologia che il suo abbigliamento rappresenta, doveva essere gestito senza immagini, in forma riservata e con i soli famigliari, oppure con la presenza del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Esteri ma senza dichiarazioni ai media e riprese televisive”.
Esattamente come – è noto a tutti – fanno i paesi anglosassoni in casi simili o al rientro delle bare di vittime del terrorismo.
Le parole di Gaiani ci hanno riportato alla mente una lontana conversazione con l’ex Ministro degli Interni Vincenzo Scotti, che ricordava la prassi consolidata – violata per la prima volta nel caso dell’ex terrorista Cesare Battisti – secondo cui i rapiti, una volta rilasciati, venivano accompagnati dal Capo della Polizia nelle sedi istituzionali presidiate dalle autorità politiche competenti. Erano tempi, è noto, caratterizzati da una classe dirigente che mostrava una diversa sobrietà e compostezza nei comportamenti.
Una ultima considerazione sulle possibili reazioni della comunità internazionale
Le cancellerie dei paesi alleati (e non), le sedi delle organizzazioni internazionali e gli opinion leader hanno potuto assistere “in chiaro” alle modalità del ritorno in patria della giovane italiana – giudicate da molti in stile reality show.
È facilmente intuibile che la comunità internazionale sia giunta alle stesse conclusioni espresse da Gaiani, e quindi sia consapevole che qualora gli estremisti traggano giovamento dagli accadimenti del 10 maggio, le ripercussioni potrebbero ricadere su tutti.
È stato inferto un grave danno al prestigio internazionale dell’Italia, già gravemente minato negli ultimi anni, in un momento in cui abbiamo bisogno del sostegno finanziario dell’Europa a causa – è sempre Gaiani che scrive – della “ricerca spasmodica di una photo-opportunity o di qualche minuto sui tg della sera” che, aggiungiamo, avrebbero oscurato solo per qualche ora la crisi in cui si dibatte il governo persino al proprio interno – se sono esatte le indiscrezioni della stampa.
A ciò si aggiunge la reazione scomposta di parte della popolazione contro “Aisha” e – ecco risultato opposto alle aspettative – contro il governo, e una nuova frattura interna con quelle parti di maggioranza e di governo che non hanno condiviso lo svolgimento degli eventi, oltre ad aver persino promosso una nuova coesione tra l’opposizione.
In questa Caporetto istituzionale rimane al Paese un prezioso elemento positivo: il plauso generale nei confronti Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) e della qualità umana, della professionalità e della abnegazione dei suoi dirigenti e funzionari, capaci ancora una volta di salvare una vita e proteggere gli interessi nazionali.
Breve riflessione finale
Il nostro Paese è oramai assuefatto ad inghiottire tutto. È forse una autodifesa, un modo per sopravvivere alle delusioni e alle insipienze dei gruppi dirigenti.
Domani, all’entrata della metropolitana o in una piazza, volgeremo uno sguardo distratto ai nostri militari, sottratti dalle occupazioni operative di cui tanto abbiamo bisogno, e intenti ad imbracciare il mitra per proteggere la nostra libertà e la nostra incolumità da un nemico a cui, il 10 maggio, abbiamo offerto un insperato e ingiustificabile aiuto.
I nostri servizi di sicurezza, sotto la guida del governo, ci avevano offerto un motivo per essere felici: il ritorno dell’ostaggio.
Ma per l’Italia si è riproposto il topos raccontato da Alain-Fournier ne Il grande amico: l’impossibilità di abbracciarla, la felicità – che, una volta raggiunta, si dilegua senza voltarsi indietro.