6.3 - La metamorfosi degli ordini religiosi: da contemplativi ad operatori sociali (welfare to work)
..................... Complessivamente quindi, ordini religiosi e clero regolare cominciavano ad essere percepiti da molti come poco utili alla società moderna, anche se non si intendeva privarli della libertà di associazione, bensì della personalità giuridica, cioè della capacità di acquistare, vendere, ereditare, cioè del diritto di possedere beni.
Lo Stato liberale italiano, estendendo dopo il 1861 all’Italia unita i provvedimenti che erano stati applicati al Regno di Sardegna, emanò il 7 luglio 1866 la cosiddetta «legge di soppressione» che privava tutti gli istituti religiosi del riconoscimento giuridico e prevedeva che i loro beni venissero incamerati dallo Stato. Essa venne poi estesa con la legge 19 giugno 1873, a seguito della caduta dello Stato pontificio, anche a Roma e alle province annesse.
Il provvedimento si rivolgeva a tutti gli «ordini, corporazioni e congregazioni religiose regolari e secolari, conservatori e ritiri, i quali importino vita comune e abbiano carattere ecclesiastico». Religiosi e religiose di voti solenni, su richiesta, potevano ottenere una pensione statale diversa per l’età e l’istituto. I beni incamerati dallo Stato, ad eccezione delle abbazie monumentali (come per esempio Montecassino e la Certosa di Pavia), venivano destinati a usi pubblici: scuole, caserme, ospedali, musei, carceri (ad esempio il Regina Coeli di Roma), mentre le chiese restavano intatte. La legge era frutto di un compromesso tra i politici più radicali, che volevano l’abolizione totale di tutti gli ordini, e i moderati, ostili solo ad alcune forme di vita consacrata (come gli ordini mendicanti e quelli contemplativi) e contrari all’incapacità di possedere, che caratterizzava i religiosi. I singoli religiosi ricevevano la pienezza dei diritti civili e politici, compreso quello di possedere, che avevano perso entrando in convento. Gli introiti derivanti dalla soppressione dell’Asse Ecclesiastico[2] dei conventi, furono minori di quanto preventivato, sia perché molte congregazioni alienarono i loro beni a mani amiche, sia per il contenzioso infinito che ne derivò. Stranamente la scomparsa o il ridimensionamento degli ordini monastici determinò la nascita di nuovi ordini religiosi orientati sul sociale ed attenti alla nuova società.
6.4 - La dispersione dei Frati
I censimenti nazionali effettuati in Italia ogni dieci anni a partire dal 1861 relativi al numero dei religiosi, seppur di certo incompleti, rilevarono un calo notevole: il numero dei religiosi da 30.632 nel 1861 passò, dieci anni dopo, a 9.163, per poi diminuire ancora e infine assestarsi, con una leggera ripresa, nell’ultimo ventennio dell’Ottocento (7.191 nel 1881 e 7.792 nel 1901).
Il primo censimento nazionale del 1861 mostrò che la maggior parte dei religiosi viveva nell’ex Regno delle due Sicilie, dove costituiva una percentuale molto alta della popolazione cittadina. Complessivamente, il 2,87‰ della popolazione siciliana era costituita da religiosi, dediti soprattutto all’insegnamento. Se la Sicilia nel 1861 aveva 6.875 religiosi (2,87‰ della popolazione totale), Piemonte e Liguria registrarono assieme 1.828 religiosi (0,52‰) e la Lombardia 402 religiosi (0,13‰). Anche rispetto alle rendite dei beni immobili, quelle dei religiosi siciliani erano molto più alte rispetto al resto della penisola; in generale la vita religiosa al Sud era basata su un’economia fondata su proprietà terriere e immobiliari, molto più consistenti che al Nord, dove invece gli stessi istituti poggiavano su nuove basi la loro economia.
Se la legge aveva colpito soprattutto gli ordini monastici, sia maschili che femminili, molti avevano a malapena una decina di unità. Non ne rimasero immuni i frati degli ordini medievali dei Domenicani e dei Francescani e i chierici regolari delle congregazioni cinquecentesche dei Gesuiti, Barnabiti, Scolopi, Somaschi, Filippini e Camilliani.
Gli ordini dei frati mendicanti si distinguevano – com’è noto – all’interno del clero per alcune caratteristiche: predicazione, preghiera liturgica, pietà, disciplina, azione apostolica, obbligo dell’abito, vita comune in conventi, adesione alla regola del fondatore.
Essi erano stati vessati con confische di case e conventi da un insieme di leggi entrate in vigore durante la Rivoluzione Francese ed il periodo napoleonico. I frati furono costretti ad abbandonare la vita in comune per motivazioni di natura ideologico-politica di stampo illuminista e liberale, ma anche per ragioni di ordine economico. Da una parte essi costituivano con i voti perpetui una violazione alla libertà individuale, dall’altra con la questua, in una società che cominciava a dare grande importanza all’iniziativa personale fondata sul lavoro, rappresentavano un modello di vita negativo, quasi “parassitario”. Sia i Domenicani sia i Cappuccini che i Francescani in venti anni si dimezzarono.
Al contrario dei frati degli ordini antichi, i chierici regolari, appartenenti cioè agli istituti religiosi clericali sorti nell’epoca del concilio di Trento con l’obiettivo di riformare la Chiesa dall’interno, non seguivano alcuna regola monastica e si prefiggevano di seguire i consigli evangelici (povertà, castità, obbedienza) praticando diverse forme di apostolato. Rappresentavano quindi, aderendo alla vita comune apostolica e alla condivisione dei beni tra membri del clero, una categoria di ‘preti riformati’. Sganciati dalla disciplina monastica, non seguivano «regole» ma «costituzioni», non avevano conventi ma case, l’abito era quello comune del prete, breviario e messale erano quelli comuni della liturgia romana. Era escluso l’obbligo dell’ufficio corale; inoltre, rispetto ai monaci, solitudine, contemplazione e povertà non erano così centrali. Sceglievano dunque di vivere nel mondo dedicandosi a diverse forme di apostolato, curandosi degli infermi, della gioventù, dell’infanzia abbandonata.
La Compagnia di Gesù, detta anche dei Gesuiti, fondata nel 1540 in Spagna da un ex militare, Ignazio de Loyola, si distinse subito per la preparazione culturale dei suoi membri e per essere il braccio armato della Chiesa, applicando una formidabile disciplina degna solo dei partiti comunisti del novecento. I Gesuiti, forgiati per riformare la Chiesa dall’interno, riconquistandola rispetto al protestantesimo, ma anche per difendere e propagandare la fede attraverso l’espansione missionaria, praticavano un quarto voto di obbedienza al Papa. Il loro ministero ordinario fu quello della predicazione, degli esercizi e del confessionale, che rese i suoi membri richiestissimi in tutte le corti europee per la loro preparazione culturale. Pionieri od avventurieri nell’interpretazione e nella predicazione degli insegnamenti della Chiesa cattolica, furono invisi anche per la loro influenza sulla classe dirigente, tanto che in tre secoli collezionarono espulsioni in vari stati Europei e sudamericani.
Nella prima metà dell’Ottocento in Italia i Gesuiti erano dunque mal visti da tutte le forze liberali, poiché contrari al processo di unificazione italiano ed estremamente freddi verso molte forme di civiltà e di progresso. Furono costretti a chiudere molti collegi ed i religiosi dovettero tornare alle loro famiglie o riciclarsi come precettori in case di nobili oppure a partire come missionari. Il loro numero oscillò dal 1860 al 1900 circa da 1.500 a 1.900.
Per tutto l’Ottocento-Novecento la voce più autorevole della Compagnia di Gesù in Italia fu, e lo è tuttora, la rivista «La Civiltà cattolica» affiancata a partire dal 1950 da «Aggiornamenti Sociali», redatta a Milano dai Gesuiti raccolti attorno al centro di studi sociali S. Fedele, che si distingueva per una maggiore apertura al mondo contemporaneo e alle sue nuove esigenze culturali, pubblicando anche il mensile «Letture», e per un atteggiamento complessivamente meno intransigente.
Attraverso la «La Civiltà cattolica» i Gesuiti passarono dall’intransigenza al liberalismo agli inizi del novecento, fino a diventare interlocutori privilegiati di Mussolini dal 1922. Durante il ventennio, nella speranza di un ritorno allo stato confessionale, la Compagnia di Gesù si assestò su posizioni filofasciste[3].
Tra i chierici regolari di fondazione cinquecentesca che, pur nell’epoca delle soppressioni, continuarono a mantenere una posizione di rilievo nella società, si distinsero gli “ordini insegnanti”. I Barnabiti si dedicavano all’istruzione delle classi elevate, gli Scolopi[4] aprivano scuole gratuite per i giovani senza mezzi pronunciando un quarto voto: l’educazione cristiana della gioventù. I Somaschi detti anche ‘servi dei poveri’ a partire dal secolo XVI avevano fondato in Italia numerosi collegi, orfanotrofi e scuole, specializzandosi soprattutto nell’istruzione di chi era privo di mezzi.
La maggior parte degli ordini dei chierici si dedicarono all’insegnamento od all’assistenza dei malati (Camilliani) e dei poveri od orfani (Filippini) e non erano per principio contrari allo Stato liberale. ......................................
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