CAP.3.3 LA NASCITA DELL'IRI
ABSTRACTS
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Mussolini, nel gennaio del 1933, affidò ad Alberto Beneduce[1]la creazione di una holding finanziaria di Stato, l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) la quale doveva:
a) accollarsi tutte le partecipazioni industriali dell’Istituto di Liquidazioni della Sofindit, della SFI e dell’Elettrofinanziaria;
b) rilevare dalle banche anche tutte le posizioni creditorie a lungo termine che esse avevano ancora in essere con le industrie;
c) provvedere da allora in avanti alla razionalizzazione ed al finanziamento delle industrie di cui aveva assunto il controllo, anche in vista di un eventuale graduale collocamento sul mercato dei loro titoli;
d) divenire, per un complesso sistema di incroci azionari, il maggiore azionista delle tre banche miste (Credito Italiano, Banca Commerciale Italiana, Banca di Roma).
L’IRI si procurò i capitali necessari per la riorganizzazione delle industrie controllate collocando direttamente sul mercato titoli obbligazionari garantiti dallo Stato che erano ben accetti. In questo modo lo Stato gestiva direttamente sia molte industrie sia l’intermediazione finanziaria creando un’economia mista (pubblica e privata insieme).
In questo modo l’IRI si trovò sotto il suo controllo:
1) il 100% dell’industria siderurgica bellica, di quella delle costruzioni di artiglieria e di quella di estrazione del carbone;
2) circa il 90% dei cantieri navali;
3) oltre l’80% delle società di navigazione;
4) l’80%della capacità produttiva dei vagoni ferroviari ed il 30%dei locomotori;
5) oltre il 40%dell’industria siderurgica ordinaria;
6) circa il 30%della capacità produttiva di energia elettrica;
7) il 20% dell’industria del rayon ed il 13% di quella del cotone.
Furono istituite delle commissioni per studiare un piano di sviluppo e razionalizzazione. Le industrie tessili e quanto appetibile dai privati furono vendute, il resto fu gestito direttamente e fu razionalizzata la produzione[2] delle varie società eliminando i doppioni e concentrandosi sulle produzioni più redditizie.
In quella fase del suo sviluppo l’IRI garantiva la sopravvivenza di settori che erano vitali per tutto il sistema produttivo italiano, anche se poco convenienti per i privati.
La nuova fase di sviluppo economico accentuò il passaggio da una forte attività di esportazioni ad una graduale sostituzione dei prodotti acquistati all’estero con prodotti nazionali (autarchia) favorendo l’espandersi dell’industria pesante, meccanica e chimica. I bassi salari non favorirono l’introduzione di tecniche ad elevato contenuto tecnologico e ad alta produttività. Il divario nel prodotto per uomo/ora tra l’industria italiana e quella dei più avanzati paesi dell’Europa occidentale venne dunque aumentando nel corso degli anni Trenta. Per rimettere in moto lo sviluppo si dovette nel dopoguerra fare ricorso ai tradizionali settori produttivi ad elevata intensità di lavoro.
[1] Alberto Beneduce (1877- 1944) di umile origine, dovette la sua fortuna alle sue competenze tecniche ed al suo opportunismo politico. Massone e deputato socialista Non si presentò alle elezioni nel 1924. Profondo conoscitore dell’organizzazione dello Stato guadagnò la stima incondizionata di Mussolini (al quale solamente doveva rendere conto) pur non avendo mai preso la tessera fascista. Fu ispiratore e primo presidente dell’IRI. Con l’IRI si formò una “borghesia di stato”, uno stuolo di dirigenti, tecnici, burocrati, al riparo della precarietà del mercato. L’IRI diede un contributo all’Unità della nazione, allo smussamento dei conflitti sociali ed allo sviluppo economico anche se, in molti casi, mancò di spirito innovativo imprenditoriale. [2] a Cornigliano nacque un nuovo stabilimento per la produzione dell’acciaio a ciclo integrale.
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.............................................................................................................................................. Si codificava così la terza via democristiana: il condizionamento dei manager pubblici miranti a soddisfare il potere pubblico con posti di lavoro (clientes), non di valore. Il deficit fu scaricato sulla collettività, ma il politico ne beneficiava con i voti. Così naufragarono le velleità keynesiane riformatrici della classe politica. Questa condotta imprenditoriale portò risultati disastrosi negli anni 1970 quando per la concorrenza internazionale e per l’impossibilità di ridurre la forza lavoro, i risultati negativi economici asserviranno i manager pubblici ai politici................................
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Tabella II.12 Dipendenti IRI
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Anno Dipendenti
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1950 218.52
1960 256.967
1970 357.082
1980 556.659
1985 483.714
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............................................................................................................................................................ Finsider operante nel settore siderurgico con stabilimenti, a Cornigliano, Bagnoli, Piombino e Taranto;
Finmeccanica (Alfaromeo, settore aerospaziale);
Fincantieri (costruzioni navali) Italstat (costruzioni);
Stet (telecomunicazioni);
SME (alimentare);
Finelettrica (microelettronica);
Finsiel (software);
Alitalia;
Finmare;
Autostrade (trasporti);
Cementir (produzione cemento);
RAI (produzione televisiva).
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3.16 - Le privatizzazioni degli anni 1990 ovvero l’ossessione di fare cassa per ridurre il debito
Nei primi anni 1990 l’Occidente entrò in recessione per la prima guerra del Golfo. Nella seconda parte del decennio iniziò il boom della borsa legato ai titoli Internet della New economy. Si ripeteva la storia degli anni dal 1922 al 1929 ma, per ironia della storia quegli anni videro la nascita dell’IRI, mentre gli anni del fine secolo ne testimoniarono la morte.
Il processo di unificazione europea sotto i vincoli del Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 dai 12 paesi aderenti alla Comunità Europea, fu decisivo per le sorti dell’IRI e delle sue partecipate. Il Trattato fissò i parametri di ingresso nell’area della moneta unica (Eurolandia) e a tale scopo l’Italia doveva ridurre il deficit annuo, il debito pubblico accumulato, l’inflazione e i tassi d’interesse.
Per garantire il principio della libera concorrenza la Commissione Europea mise in discussione il comportamento del governo italiano che garantiva i debiti delle sue partecipate. Le ricapitalizzazioni di aziende pubbliche e la garanzia statale sui loro debiti furono considerati aiuti di Stato. Il Commissario Europeo Karel van Miert contestò in particolare all’Italia la concessione di fondi pubblici all’EFIM che non era più in grado di ripagare i propri debiti. Nel 1993 il Commissario van Miert raggiunse un accordo con l’allora Ministro degli Esteri Beniamino Andreatta, che consentiva all’Italia di pagare i debiti dell’EFIM, ma a condizione di stabilizzare i debiti delle sue partecipate e a ridurli ad un livello comparabile con quello delle aziende private. Questo costrinse l’Italia a privatizzare gran parte delle aziende controllate dall’IRI, che era già stato trasformato in Società per Azioni col d.l. 333/1992....................................................................................................................................................................................................................
Con l’incorporazione delle attività residue nella Fintecna, l’IRI cessò definitivamente le sue attività il 1° dicembre 2002.
L’Economist titolerà la fine dello Stato imprenditore, ma molti dissero “spoils system is over” letteralmente: “la spartizione del bottino è terminata” (ad opera di politici, sindacalisti, manager).
L’IRI era costata ai contribuenti Italiani 72.181miliardi di Lire (Mediobanca). Circa Il 50% delle perdite era da imputare alla siderurgia, il 20% alla Fincantieri e ad Alfa Romeo, il resto a Tirrenia (Traghetti-pur con tariffe governative) e poi ad Alitalia, Italimpianti, Italstat, Finmeccanica.
Il primato dell’inefficienza e del degrado spettò a Italsanità (un insieme di ospedali per anziani) che, fondata nel 1988, fu liquidata nel 1992 con perdite per 400 miliardi di Lire. Furono tutti condannati per truffa allo Stato: politici, sindacalisti e imprenditori.
Tuttavia molte delle aziende controllate dall’IRI erano gestite da ottimi manager, con produzioni di eccellenza mondiale e bilanci in attivo.......................................
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