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Cap.VII L'industria Italiana dal 1861







.................................7.2 - Il panorama industriale

Nel 1860 l’industria del nuovo stato aveva solo due pilastri la seta e poi l’estrazione di zolfo in Sicilia. L’agricoltura rappresentava la principale fonte di reddito per la stragrande maggioranza della popolazione................................................................

........................................7.2.4 L’industria laniera e cotoniera


Queste industrie erano dislocate lungo tutta la fascia prealpina ed in alcune aree della Toscana, Abruzzo e Campania. Alle origini, la lavorazione della lana avveniva a domicilio, coordinata dal mercante-imprenditore che forniva la materia prima e vendeva il prodotto finito e rappresentava, per le famiglie contadine, un’integrazione agli scarsi guadagni derivanti dall’agricoltura. Con l’avvento delle prime “macchine” verso il 1820, le operazioni di filatura, fino ad allora appannaggio delle donne (le filere) vennero accentrate all’interno degli stabilimenti senza per questo suscitare particolari proteste. Quando a metà del 1800 si iniziò a trasferire all’interno delle fabbriche anche le operazioni di tessitura, molti artigiani vi si trasferirono, ma trovarono molto difficile adeguarsi ad orari fissi come invece chiedevano gli imprenditori, in quanto questi li avrebbero limitati nella coltivazione della terra, fonte di sussistenza per la loro famiglia.

Inoltre la fabbrica avrebbe comportato una severa disciplina del lavoro in quanto a quel tempo le infrazioni principalmente per assenza o scarso rendimento o per errori di lavorazione erano pagati cari.

Proprio per cercare di mantenersi autonomi rispetto al sistema fabbrica si crearono le Società di mutuo soccorso e poi negli anni fra il 1860 e il 1870 vi furono scioperi e scontri con la polizia. Con l’introduzione dei telai meccanici l’operaio era costretto ad accettare i ritmi di lavoro della fabbrica ed alla fine del secolo riesplose il conflitto sindacale.


L’industria della lana e del cotone avevano problemi analoghi all’industria serica ma con l’handicap di dovere acquistare la materia prima (in oro) all’estero, per cui ne derivarono immobilizzi di capitali enormi e scarsa meccanizzazione, dislocazione presso corsi d’acqua per sfruttare la ruota d’acqua e discontinuità di fornitura. Si era ancora alla fase primitiva, nulla di comparabile con l’industria inglese anche per l’assenza di una industria metalmeccanica. Queste industrie non avevano fatto in tempo ad approfittare dell’espansione del mercato, primo perché grazie alla teoria liberista non c’erano dazi sulla merce in entrata, secondo perché si pagava il dazio al consumo su qualsiasi prodotto. Era difficile approvvigionarsi di capitali, con tassi alti fino al 6%, e in assenza di banche d’affari, come i credit mobilier creati in Europa. Per ironia lo Stato acquistava persino i prodotti finiti all’estero, oltre alle divise dell’esercito anche gli armamenti, sempre in ossequio alla teoria liberista. Venivano stipulati contratti vessatori ed esosi verso le piccole aziende nazionali che generavano una tale litigiosità da intasare i tribunali per anni. Per risanare le disastrate finanze statali la tassa sulla ricchezza mobile era del 14% contro il 5% negli altri paesi Europei.


7.2.5 - L’industria del Ferro

Vi era solo un unico rilevante giacimento presso l’Isola d’Elba dove era in funzione l’unico forno Bessemer, mentre tutti gli altri forni per il ferro erano a carbone di legna (in Val d’Aosta, a Lecco, a Brescia). Il litantrace costava agli inglesi 5/6 lire la tonnellata; i piemontesi per una tonnellata di torba pagavano da 25 a 50 lire con il risultato che in Italia il ferro costava dalle 385 alle 410 lire alla tonnellata contro le 235-291 lire sterline inglesi. Il liberismo aveva escluso questa industria considerata interamente artificiale, parassitaria e senza possibilità di sviluppo non potendo lontanamente autosostentarsi e competere.

I sostenitori di una industria siderurgica (come una volta i liberisti) rispondevano con argomenti politici: la sicurezza di un Paese poteva essere garantita solo da una buona industria siderurgica e per questo motivo tutti i calcoli di economicità diventavano secondari. In seguito vi fu in Liguria un piano siderurgico per la produzione di navi militari e civili. A sua volta l’industria meccanica chiedeva di ridurre i dazi sulle materie prime, travi e laminati in acciaio (scontrandosi con i metallurgici) e di aumentarli sui macchinari (scontrandosi con tutti gli altri rami della produzione). La visione liberista non contemplava la possibilità di valorizzare contemporaneamente tutti i settori produttivi, mentre la visione proibizionista la prevedeva in un nuovo equilibrio artificiale circoscritto al mercato interno e dominato in un primo tempo dalle industri nazionali, poi, dopo aver raggiunto alti volumi e grande eccellenza avrebbe riproposto la sfida liberista alle industrie straniere. Per le industrie del Sud il liberismo fu letale perché dovettero soccombere sia di fronte a quelle del nord , sia di fronte a quelle estere molto più avanzate, abituate ad un protezionismo doganale. .........................................

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