Cap.VII La fine del Liberalismo ed i pionieri dell'industrializzazione
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..............................................7.9 - I pionieri dell’industrialismo
In Italia vi era il gruppo dei liberisti toscani, depositari dell’ortodossia dei liberisti, ma stava sorgendo a Padova una scuola dei “socialisti della cattedra” i cui membri, sotto l’influenza del liberalismo tedesco, iniziarono a perorare le istanze a favore degli industriali.
Partendo dall’assunto che il benessere della comunità e dei singoli non era garantito dal libero operare delle regole del libero mercato, Luigi Luzzatti, teorico del movimento, affrontò senza dogmatismi i problemi posti dalla società industriale ma non seppe dare risposte precise. Pur avendo effettuato serrate critiche al sistema doganale, non aveva proposto un sistema alternativo, tanto che si sarebbe accontentato di una revisione delle tariffe in senso più favorevole all’Italia e, dopo il rifiuto della Francia, pure biasimando l’uso della politica commerciale, egli divenne in seguito uno dei fautori del piano Brin per una siderurgia Nazionale.
Per favorire il credito si proponeva la nascita e la diffusione di banche popolari di tipo cooperativo. Queste costituirono un valido sostegno alle iniziative di piccoli e medi imprenditori, ma ritardarono il processo di specializzazione di altri istituti bancari indispensabile per il sostegno delle industrie maggiori. Prevalse la soluzione sociale di allargare i benefici ad una sempre maggiore platea di elettori.
Ma il pioniere dalla visione industrialista lucida e democratica fu Alessandro Rossi, industriale tessile di Schio e Senatore del Regno. La sua formula era di una semplicità estrema: l’industrializzazione, che aumentava la produttività del lavoro e ne migliorava l’organizzazione, che soccorreva le necessità della finanza, che rendeva i capitali produttivi era la vita delle nazioni moderne. Così la promozione e la difesa dell’industria non erano la tutela di interessi e privilegi particolari, tesi liberista, ma la promozione e la difesa della nazione intera.
Abbandonata l’illusione del pacifico e spontaneo operare dei fatti economici occorreva combattere per conquistarsi l’uguaglianza economica a livello internazionale. Feroce era la critica verso la classe politica italiana manchesteriana-liberista che riteneva che lo sviluppo fosse una conseguenza del naturale svolgimento operare delle attività economiche, favorendo in questo modo l’affermarsi dei prodotti inglesi, molto più a buon mercato, ed affossando sul nascere la crescita industriale nazionale.
L’Italia non era diventata né un Paese agricolo né un Paese industriale che non riusciva neppure a soddisfare le esigenze del mercato interno, base fondamentale dello sviluppo, e dalla riduzione delle tariffe non era derivata alcuna agevolazione alla massa dei lavoratori anzi il congelamento della domanda di lavoro aveva abbassato il potere di acquisto ed incrementato l’emigrazione.
La teoria liberale dell’armonia delle nazioni, che avrebbero progredito specializzandosi nella produzione di merci a buon mercato secondo le disponibilità locali, sia di materie prime sia di manodopera, avrebbe asservito l’Italia all’industria e finanza straniera. Ma Rossi volle sempre combattere la sua battaglia democratica all’interno delle istituzioni insistendo sul fatto che la rinuncia dello Stato alle tariffe doganali lo aveva privato di entrate certe, senza vantaggio per i consumatori che avevano finito per pagare all’interno, con imposte e dazi al consumo, quello che poteva essere rivolto a favore dell’industria italiana con i dazi al confine. A questo si aggiungeva la minaccia agli interessi del settore agricolo da parte della concorrenza transatlantica con le importazioni di cereali e mais dagli Stati Uniti. A livello teorico le teorie venivano sbriciolate ma a livello pratico il fronte liberista si sgretolava perché non era più tutelato.......................
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