CAPITOLO III - BREVE STORIA DEL DEBITO PUBBLICO ITALIANO
CAPITOLO III - BREVE STORIA DEL DEBITO PUBBLICO ITALIANO
Il terzo capitolo tratta del debito pubblico italiano, come si formò, quali furono le cause e le responsabilità. L’alto debito pubblico italiano era un vero handicap per partecipare all’Unione monetaria con la creazione della moneta unica l’Euro. L’opinione pubblica italiana fu convinta dalla propaganda della maggioranza dei partiti che l’adesione all’euro avrebbe significato la fine delle traversie monetarie e delle svalutazioni, con l’inizio di un periodo di stabilità e prosperità. Vi furono anche dissensi e perplessità seriamente motivati sul fatto che delegando la politica monetaria a Francoforte l’Italia sarebbe stata costretta ad una politica imposta dalla Germania e dalla Francia con economie ed esigenze diverse se non contrastanti con quelle Italiane.
3.1 - Origini del debito pubblico della Repubblica Italiana
3.1.1 - La prima crisi 1897
3.1.2 - La seconda crisi
3.1.3 - La terza crisi
3.1.4 - La quarta crisi
3.2 - Svalutazione della Lira
3.3 - Le responsabilità della quarta crisi del debito pubblico 1981-1995
3.4 - Breve storia dell’euro-valuta
3.5 - Panorama economico in Italia dal 1991 al 1996
ABSTRACTS
..........................................................Nell’estate del 1992[1], pochi mesi dopo la firma del trattato di Maastricht, il finanziere George Soros, con un violento attacco speculativo, vendendo a piene mani Lira Sterlina e Lira italiana, costrinse la Bank of England una svalutazione del 12% e la Banca d’Italia del 7%. Si arrivò a questa decisione non più rimandabile dopo una difesa scellerata ed oltranzista di una parità forzosa e insostenibile per la lira, dove vennero bruciati 91.000 miliardi di Lire per poi dover rivalutare dell’11,5% nel corso dei mesi successivi, per l’adesione definitiva all’euro, sempre contro il marco tedesco.
Nel 1994 il debito pubblico raggiunse il 124% del Pil, ma grazie alla svalutazione vi fu un piccolo boom economico legato all’esportazione ed al turismo.
Dal 31-12-91 al 31-12-95, in soli quattro anni, la Lira si svalutò del 29,8% contro il marco tedesco.
3.3 - Le responsabilità della quarta crisi del debito pubblico 1981-1995
Se nella prima crisi del debito pubblico la responsabilità è da addebitare ad un malaffare delle primarie banche italiane, la seconda è attribuire alla prima guerra mondiale e la terza alla seconda guerra mondiale, la quarta crisi è da ascriversi alla classe politica e sindacale italiana alla ricerca di un facile consenso, ottenuto elargendo generose rendite e bruciando risorse per uno sviluppo futuro.
Tutte le amministrazioni pubbliche furono responsabili del vertiginoso aumento del debito pubblico. In particolare dal 1989 al 1997 la crescita media in termini reali del PIL, poco inferiore all’1,5%, fu sovrastata dalla dinamica della spesa pensionistica che, in termini reali, aumentò a una media del 4,5% l’anno. Il suo costante aumento ebbe una frenata nel 1995, anno in cui i pensionamenti di anzianità furono temporaneamente bloccati (art. 13, comma 1 della legge 23 dicembre 1994 n. 724), in attesa della riforma generale del sistema pensionistico[2] (Legge n.335/95). I politici e i sindacalisti sostenevano che l’espansione dello stato sociale dovesse essere correlata all’aumento del PIL.
3.4 - Breve storia dell’euro-valuta
Il problema del debito pubblico italiano fu considerato la conditio sine qua non per l’adesione immediata dell’Italia all’Unione Monetaria Europea. E questo fu un errore storico strategico a tutto vantaggio dell’alleanza Franco-Germanica tesa a tutelare la stabilità ed il predominio della propria industria manifatturiera più efficiente e tecnologicamente più avanzata. L’Unione Europea poteva procedere con l’armonizzazione dei codici civili e penali di tutti i paesi, della sanità ed istruzione, dello Stato sociale, del fisco e della redistribuzione delle risorse[3].Fu imposto invece di tutelare anzitutto il proprio potere economico, confermando che i rapporti economici determinano il comportamento umano e degli Stati secondo la teoria di Karl Marx.
[1] «…L'apprezzamento della lira ha contribuito al netto miglioramento delle ragioni di scambio. Dal 1993, per effetto della ricomposizione della domanda, la bilancia dei pagamenti correnti è divenuta attiva; l'avanzo è cresciuto sino a raggiungere, nel 1996, 63.000 miliardi, il 3,4 per cento del prodotto interno lordo. Lo scambio di merci ha dato luogo a introiti netti per 94.000 miliardi. Una elevata competitività nei confronti dell'estero è garanzia di solidità della lira; ne beneficiano i redditi e i tassi di interesse. Il mantenimento nel tempo della capacità di competere è affidato, in primo luogo, alla stabilità dei costi unitari di produzione. La posizione patrimoniale e il cambio: Il debito netto dell'Italia, dell'intera economia, verso il resto del mondo dovrebbe annullarsi nel corso di quest'anno. Formatosi nella seconda metà degli anni ottanta, sotto la spinta dei disavanzi pubblici e di aumenti dei redditi monetari largamente eccedenti la produttività, il debito è progressivamente salito sino all'11 per cento del prodotto interno lordo alla fine del 1992. Il debito pubblico detenuto da non residenti, costituito in gran parte da titoli di Stato acquistati sul mercato interno, è passato da 110.000 miliardi alla fine del 1992 a 420.000 nel 1996…». [2] Nel periodo successivo, tra il 1998 e il 2007, dopo le riforme, la spesa pensionistica rallentò fortemente, con una variazione media annua leggermente superiore ad un terzo del periodo precedente (1,7%) e più vicina a quella del PIL (1,3%), con la conseguenza di una sostanziale stabilità del rapporto. È da sottolineare che anche dopo il 2008 e fino al 2013 la dinamica della spesa per pensioni si è dimezzò ulteriormente (0,8%). Il suo peso però aumentò fortemente perché, a causa della pesante crisi economica, la media annua di variazione del PIL reale era risultata negativa (-1,5%). Nell’ultimo biennio (2014-2015), si ebbe infine una leggera ripresa della spesa per pensioni (media annua 1,2%), ma risultò sufficiente una modesta ripresa dell’economia (media annua 0,4%) per ristabilizzare parzialmente il rapporto PIL/ pensioni. [3] Come si sa l’IVA su un manufatto di un Paese dell’Unione Europea esportato in un altro Paese membro viene versata dal produttore nel Paese di origine. Es. il produttore di un’automobile tedesca esportata in Italia versa l’IVA in Germania, contribuendo da sempre a rafforzare l’egemonia tedesca. Sarebbe sufficiente redistribuire parte di questa IVA al Paese consumatore per riequilibrare il principio di fiscalità ed equità. Tralasciamo i paradisi fiscali all’interno della UE........................................................................................
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