CAPITOLO IV IL PANORAMA POLITICO-ECONOMICO EUROPEO 1918-1945
CAPITOLO IV IL PANORAMA POLITICO-ECONOMICO EUROPEO 1918-1945
In questo capitolo ci discostiamo completamente dai capitoli precedenti per accantonare le disavventure occorse nel primo decennio del XXI secolo e per continuare la narrazione dell’economia e della politica dopo la prima guerra mondiale che disgraziatamente porterà alla deflagrazione di un secondo conflitto ancora più catastrofico.
4.1 - Lo sconvolgimento dell’Europa dopo la Pace di Versailles
La prima guerra mondiale fu il primo atto di una di una tragedia che si sarebbe conclusa con la fine della leadership mondiale Europea. Il secondo e finale atto si sarebbe compiuto solo 5 lustri dopo con l’affermazione planetaria di due nuove Potenze: Gli Stati Uniti interpreti di un’economia liberal capitalista, e la Russia (U.R.S.S.) totalitaria e ad economia pianificata retta dal partito comunista. …………………………………
L’età delle Rivoluzioni ideologiche del liberismo, del socialismo e del capitalismo industriale, l’età dell’illuminismo e del positivismo, con la sua ottimistica fiducia nella razionalità, nel progresso e nella scienza, terminò in una guerra fratricida tra europei……………………..
1) La fine del secolare primato politico-economico dell’Europa.
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2) La ristrutturazione della carta geopolitica dell’Europa e il duro embargo della Germania.
Dai trattati di pace emerse che:
La Germania, considerata la maggiore responsabile del conflitto, fu la nazione che perse di più nel conflitto e ad essa vennero imposte condizioni molto dure: perse lo Schleswig-Holstein a vantaggio della Danimarca e dovette cedere alla Polonia la Posnania, l’Alta Slesia e il corridoio di Danzica. Venne decisa a suo sfavore la riduzione dell’Esercito a 100.000 uomini, la perdita delle colonie e l’obbligo di risarcire i danni di guerra, nella misura della immensa cifra di 132 miliardi di marchi d’oro. La Germania considerò il trattato inaccettabile e umiliante.
La più moderata fu la delegazione inglese che si scontrò con l’intransigenza dei francesi che chiedevano, oltre all’Alsazia e la Lorena, la cessione temporanea dei bacini di sfruttamento carbonifero della Saar.
Altri focolai di tensione furono costituiti dall’Italia (con la questione di Fiume) e dalla spartizione dei territori dell’ex impero Austro-Ungarico e di quello Ottomano.
4.2 - La fine del Liberismo economico e la crescita del ruolo dello Stato nell’economia
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Ma a fine conflitto le nazioni dovettero affrontare altri problemi.
a) il problema della riconversione produttiva delle industrie che si erano convertite per la produzione bellica, il tasso di disoccupazione dei reduci ad esempio nel primo biennio postbellico fu molto elevato;
b) il deficit pubblico causato dalle spese belliche e dai costi per l’assistenza da parte dello Stato ai feriti, agli invalidi, alle vedove;
c) L’inflazione e la svalutazione[1] monetaria provocate dall’abbondanza di carta moneta stampata negli anni della guerra, dalla penuria di generi di consumo e dalla speculazione del mercato nero, con cui fu ridimensionata la classe media…………………………………
4.3 - La crisi delle élite liberali e la nascita dei partiti di massa
L’iniqua distribuzione dei sacrifici esasperò il conflitto di classe preesistente. La disoccupazione, l’inflazione e il razionamento dei generi di prima necessità, avevano inasprito le condizioni in cui versavano le popolazioni devastate dalla guerra. I movimenti sindacali e socialisti, soprattutto in Italia, in Germania ed in Ungheria assunsero caratteristiche rivoluzionarie, sulla scia di quel che era accaduto in Russia, provocando la reazione dei governi.
4.6 - Il rimborso dei debiti di guerra………………………………………..
Ogni Paese coinvolto nella guerra concordava su un punto: il conto doveva essere saldato da un altro Paese. Amico o nemico che fosse. Se l'amore, l'onore e la moralità erano ancora invocati, di solito si faceva notare che questi valori dovevano essere onorati dagli altri. Il grande gioco del cerino accesso e passato di mano in mano in modo da far pagare a qualcun altro, fu anche un doppio gioco? Un gioco all'interno di un gioco.
4.6.1 - Origine dei debiti degli alleati verso gli Stati Uniti.
Nel 1914 tutti i paesi belligeranti erano preparati ad una guerra breve perciò con il perdurare delle ostilità gli Alleati diventarono sempre più dipendenti dagli Stati Uniti, inizialmente neutrali, per le forniture di materie prime, manufatti, armamenti e beni alimentari.
Nel dicembre del 1919 uscì il libro “Le conseguenze economiche della pace” di J. Maynard Keynes (1883-1950), opera destinata ad una immediata fortuna. Il saggio, scritto a seguito della partecipazione di Keynes, quale membro della delegazione del Tesoro inglese, ai negoziati di Versailles, contiene un palese atto di accusa contro la decisione dei vincitori di imporre le più pesanti riparazioni per i danni di guerra a carico degli sconfitti, decisione che, secondo Keynes, avrebbe avuto come unico esito il ritorno di una Germania, umiliata e impoverita, e, di conseguenza, il probabile scatenamento di una nuova guerra: “ci sarà una nuova guerra, davanti alla quale appariranno trascurabili gli orrori della recente… una guerra che distruggerà, chiunque ne sarà il vincitore, la civiltà e il progresso della nostra generazione”………………………….
4.6.2 - La posizione della Francia
I politici francesi già prima dell’armistizio dell’11 novembre 1918 avevano fatto un ragionamento logico condiviso anche dagli altri alleati: “la guerra e la vittoria era stata una lotta comune ed il sacrificio di ogni nazione doveva essere preso in considerazione e perciò i costi condivisi proporzionalmente.” Louis Marin, ex ministro delle finanze, aveva sottolineato che 1.450.000 soldati francesi erano morti al fronte, ed altri 500.000 dopo a causa delle loro ferite, e che questo rappresentava almeno 50.000 franchi per soldato. L'altro argomento della Francia era che i francesi avevano speso 2.997.477.800 dollari presi in prestito dagli Stati Uniti - sia in armi, navi da guerra, tabacco e cibo americano - e che in un certo senso, gli americani erano già stati rimborsati. Ma nel 1919, la Francia, così come il Regno Unito e altri tredici Stati belligeranti si rifiutarono di ripagare gli enormi prestiti di guerra agli Stati Uniti se contemporaneamente la Germania sconfitta non avesse rimborsato gli Alleati per i danni provocati. …………………………
………………………………..Nel maggio 1926 entrarono in sciopero un milione di minatori. Altre categorie di lavoratori li appoggiarono. In dicembre, dopo una lotta durata 7 mesi, i minatori dovettero cedere. Il governo conservatore cercò di approfittare di questa sconfitta storica per minare le basi stesse dell’opposizione laburista: furono vietati gli scioperi di solidarietà. La lotta tra lavoro e capitale fu sempre molto intensa, finché nel 1929 i laburisti tornarono di nuovo al governo e questa volta con una maggioranza assoluta.
Fu la crisi del 1929, non affrontata in modo favorevole ai lavoratori, che indusse il governo laburista a dare le dimissioni nel 1931. Il nuovo governo che si formò fu una coalizione tra conservatori, nazional-liberali e laburisti moderati. Questo governo, vedendo che nel 1933 la disoccupazione aveva raggiunto la cifra record di 3 milioni di persone, si preoccupò di far intervenire lo Stato nell'economia, introducendo dazi nelle importazioni e concedendo sgravi fiscali e finanziamenti alle industrie.
4.6.4 - La situazione economica e politica in Italia fra le due guerre mondiali
Il debito pubblico durante la guerra 1914-18 aumentò di più di 100 miliardi di lire, il rapporto deficit/PIL salì dall’81% del 1914 al 125% del 1920 ma, se si include anche il debito estero, risultava del 160% nel 1920.
La principale fonte di sostegno finanziario fu il debito estero, che l’Italia dovette sottoscrivere soprattutto con Gran Bretagna e Stati Uniti con contratti lire-oro, che subirono un grosso sbalzo dovuto alla svalutazione della lira. Il debito estero raggiunse i 22 miliardi nel 1919 e quasi 33 miliardi nel 1922, ma questo, dopo una serie di lunghi negoziati che incominciarono nel dopoguerra, fu in gran parte condonato all’Italia, mentre la parte restante andò in compensazione con le riparazioni tedesche……………………………..
Dal 1922 al 1925, con Benito Mussolini Presidente del Consiglio, in cerca di consolidamento con le buone o con le cattive del suo potere, il ministro delle finanze e del tesoro era Alberto De Stefani, il quale perseguì sostanzialmente le politiche dei suoi predecessori che stavano lentamente riportando il bilancio statale in ordine con l’eliminazione delle spese straordinarie e l’aumento delle entrate ordinarie.
Il Governo fascista volle solamente accelerare questo processo di risanamento dei bilanci e più che agire sulle entrate, tagliò drasticamente alcuni campi della spesa pubblica. Circa l’aspetto contributivo, De Stefani ne allargò la base, inglobando numerose categorie sociali fino ad allora escluse e abbassando le aliquote, specialmente per le categorie che riteneva più inclini all’investimento, portando a una lieve flessione della pressione fiscale………………..
La guerra segnò un tragico spartiacque tra la «prima globalizzazione» e la successiva «de-globalizzazione», durante la quale la storia dell’economia italiana può essere divisa in due periodi.
Fino al 1929 il tasso di crescita del Paese fu di poco superiore alla media dell’Europa occidentale, più alto di quello del Regno Unito ma inferiore a quello della Francia.
Tra il 1917 e il 1929 (entrambi picchi ciclici) il PIL italiano crebbe del 2,2% all’anno. Tra il 1922 e il 1929, il tasso di crescita annuale dell’Italia fu un notevole 4%, infatti nel 1922 fu grosso modo nuovamente raggiunto il più alto livello di PIL del periodo prebellico. La crescita raggiunse il 6,1% annuo tra il 1922 e il 1925 – la fase «liberale» del regime fascista – con un aumento delle esportazioni a un ritmo annuo del 18,7%. Il primo Governo Mussolini riprese le fortunate politiche macroeconomiche prebelliche: ……………………………………………………………………….
Tra il 1925 e il 1926 si verificò quella che probabilmente fu la più repentina e completa inversione a 180 gradi della politica economica dell’intera storia italiana.
Da un’economia di trasformazione (si importavano materie prime e si esportavano svariati manufatti industriali,) si passò ad un’economia autarchica: nel limite del possibile tutte le risorse interne dovevano essere utilizzate e valorizzate. Da quel momento fino alla fine della Seconda guerra mondiale l’economia italiana fu sempre più orientata verso l’interno.
La classe dirigente fascista non capì che un’economia di media grandezza, ancora relativamente arretrata e prevalentemente agricola, priva di risorse minerarie e dipendente dalle importazioni per risorse alimentari, materie prime e tecnologia avanzata, poteva prosperare solo nella competizione sui mercati mondiali e avrebbe sofferto più di altre i rigori dell’autarchia.
Dopo il 1925, la crescita continuò con ritmo più lento fino all’inizio della Grande Depressione (2,5% annuo tra il 1925 e il 1929).
La Grande Depressione in Italia durò più a lungo malgrado l’autarchia (tutti i Paesi si erano cautelati innalzando barriere doganali). Solo nel 1935 il PIL e la produzione industriale raggiunsero il livello del 1929, per calare di nuovo nel 1936…………………………………………………….
Un’azione rapida ed efficace condotta in segreto dallo Stato e dalle autorità monetarie evitò che la crisi bancaria avesse gli stessi esiti paralizzanti visti in Austria e Germania. Conseguenza involontaria della crisi, fu una delle maggiori innovazioni istituzionali dell’economia italiana: la creazione dell’IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale, con il quale lo Stato sostituì le banche nel controllo della maggior parte delle grandi imprese, dando vita a uno dei principali strumenti per il sostegno alla ricostruzione e alla crescita del dopoguerra.
Negli anni Trenta la crescita fu in media dell’1% annuo, circa pari a quella dell’Europa occidentale. Nello stesso periodo l’economia autarchica tedesca, nonostante il crollo subito tra il 1929 e il 1932, crebbe di oltre il 2% all’anno, grazie alle abbondanti risorse naturali del Paese e alla sua avanzata tecnologia……………………………………………
Negli anni Trenta, l’aumento nella speranza di vita si contrasse e aumentò il numero dei poveri, così come quello dei minori occupati. Nonostante il consenso tutt’altro che trascurabile, in specie dopo la felice conclusione della guerra di Abissinia, degli italiani, Mussolini ed il fascismo furono responsabili del mancato aggancio dell’economia italiana alle economie più evolute.
La propaganda del regime aveva narcotizzato il popolo che subì un duro nella realtà allo scoppio della II guerra mondiale quando milioni di italiani si resero conto dell’impreparazione e arretratezza dell’apparato industriale italiano comparandolo con quello delle altre potenze europee.
Il Paese era stato trascinato dal fascismo in guerra con un esercito male armato ed un complesso militare industriale proporzionalmente inferiore a quello che esisteva nel 1915. Molti Aerei erano ancora di tela e legno, i restanti in alluminio erano lenti e poco manovrabili, i carri armati erano ridicoli senza torretta girevole e con corazze inadeguate, la marina militare era dotata di cannoni che sparavano oltre il limite dell’orizzonte, senza vedere i bersagli perché non era dotata né di aerei né di radar………………………………..
[1]Svalutazione è la diminuzione del valore di una moneta in rapporto all’oro o ad un’altra moneta più forte
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