CAPITOLO V - BREVE STORIA DELLA I RIVOLUZIONE INDUSTRIALE IN EUROPA
Nel capitolo V e VI si sviluppano a tema due argomenti contrapposti ed interdipendenti: l’affermarsi del capitalismo e del liberismo nelle economie occidentali dell’800 ed il parallelo sviluppo dello stato sociale. Si nota che, al progredire della rivoluzione industriale e del capitalismo, il “proletariato” assumerà il ruolo dell’antagonista dei capitalisti per condividere i frutti della ricchezza generata o addirittura si porrà come fine la soppressione del capitalismo “lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, mirando a creare una società utopistica di uguali, senza sfruttati, annullando le regole del mercato.
5.1 - La rivoluzione industriale in Gran Bretagna
5.2 - Il panorama europeo socio-economico del XIX secolo
5.2.1 - Capitalismo e trionfo del liberismo
5.2.2 - Scoperte scientifiche
5.2.3 - Tre scoperte determinanti: manifattura tessile, ferro e acciaio, macchine a vapore
5.2.4 - Aumento produzione di scala e concentrazione
5.2.5 - La localizzazione delle industrie
5.3 - Ideologie nelle società industriali laicismo, liberalismo, socialismo, clericalismo
5.3.1 - Il luddismo e le prime manifestazioni operaie
5.3.2 - Gli ispiratori del movimento operaio
5.3.3 - Gli utopisti
5.4 - Carlo Marx e il socialismo scientifico
ABSTRACTS
....................................................5.1 - La rivoluzione industriale in Gran Bretagna
La rivoluzione industriale fu un processo di evoluzione economica e di industrializzazione della società che, a partire dalla seconda metà del ‘700, passò da un sistema agricolo, artigianale e commerciale a uno moderno, attraverso l’introduzione di macchine ad energia meccanica o funzionanti con l’utilizzo di nuove fonti energetiche (vapore, combustibili fossili, elettricità), caratterizzato da componenti di innovazione tecnologica e da fenomeni di crescita, di sviluppo economico e di modificazioni sociali, culturali e politiche. La rivoluzione industriale generò il capitalismo industriale (quello mercantile e finanziario esisteva già), che retribuiva per la loro prestazione i dipendenti sulla base di un contratto[1].
La Gran Bretagna, con la rivoluzione industriale, si trasformò da una nazione di villaggi rurali a una nazione di città industriali attraverso una vera e propria rivoluzione tecnologica che interessò vari ambiti: nel settore agricolo si iniziarono ad utilizzare in modo estensivo nuovi macchinari per la coltivazione e per sostituire gli animali da traino, nel settore metallurgico ed estrattivo si scoprì e si utilizzò il carbon fossile, nel settore tessile, a partire dal 1785, si assistette alla sempre più massiccia diffusione della macchina a vapore.
Grazie al miglioramento alimentare apportato dalla rivoluzione agricola e al sempre più diffuso benessere economico si registrò, a partire dal 1750, un aumento del tasso di natalità, elemento che a sua volta contribuì allo sviluppo urbano e influenzò fortemente lo sviluppo economico ed industriale dell'Inghilterra, nella quale si creò un'ampia offerta di manodopera a basso costo; infatti John Lawrence Hammon, giornalista inglese e storico, affermò che "durante la prima fase della Rivoluzione industriale l'impiego dei bambini su vasta scala divenne la più importante caratteristica sociale della vita inglese"I sindacati inglesi a loro volta si distinsero per sostenere un graduale riformismo della legislazione, e si attivarono, anche con scioperi violenti, per ottenere, già a metà dell’800, l’interdizione del lavoro dei minori, la riduzione dell’orario di lavoro, la protezione contro il licenziamento e migliori condizioni igieniche.
Per convenzione si accetta che la rivoluzione industriale abbia avuto inizio in un villaggio inglese, Manchester, che nel 1775 aveva 20.000 abitanti, mentre nel 1850 era arrivato a 300.000.
I “Manchester boys[1]” artigiani, che sapevano appena leggere e scrivere, ma anche far di conto (4 operazioni di matematica più la percentuale ed avevano alcune cognizioni di meccanica e disegno), anno dopo anno misero a punto nuove macchine nel settore tessile, che incrementarono la produzione con minor impiego di manodopera. Il progresso fu continuo, emulativo anche nei dettagli (macchine manuali), migliorati in una rapidità tale da trasformare questi artigiani in industriali, che attrassero sempre più capitali e manodopera, e si ingrandirono sempre di più. La qualità ed il costo dei loro manufatti metteva fuori mercato la concorrenza.
Nella seconda metà del ‘700 i Manchester boys introdussero migliaia di innovazioni nel settore tessile, poi meccanico, poi siderurgico (miniere e carbone) fondando fabbriche sempre più grandi dove migliaia di lavoratori producevano merci a prezzi sempre più bassi. Solo con i loro figli e nipoti si affermò il capitalismo e con esso fu riscritto il Diritto Commerciale nella prima metà dell’800.............................................................................................................................................................................................................................................................................................................5.3 - Ideologie nelle società industriali laicismo, liberalismo, socialismo, clericalismo
Per tutto l’Ottocento i termini liberale e democratico, che attualmente sono associati, demarcavano idee e programmi divergenti su alcune questioni cruciali.
Il liberalismo, nato nel XVII-XVIII secolo, per opera degli illuministi francesi che firmarono la monumentale “Encyclopédie “di Diderot e d’Alembert, ha per base l’affermazione del valore assoluto della libertà individuale. L’individuo è concepito come titolare di una serie di diritti e di libertà fondamentali: di pensiero, di parola, di proprietà, di religione. Unico limite ammissibile nell’esercizio di tali libertà è quello che deriva dalla necessità che esse siano garantite a tutti: perciò, il giusto ruolo dello stato è per i liberali quello di assicurare, attraverso la legge e la forza, tale garanzia. Il sistema politico privilegiato dal liberalismo classico ottocentesco era la monarchia costituzionale con divisione dei poteri e suffragio elettorale censitario. Infatti, per i liberali l’esercizio effettivo della sovranità doveva spettare solo a quei cittadini che per requisiti economici e culturali potessero farne un uso responsabile e maturo.
I democratici ritenevano prioritario il principio della sovranità popolare, che avrebbe dovuto garantire a tutti uguali diritti politici. Il suffragio universale, in genere associato alla forma repubblicana dello stato, era dunque il centro del programma politico dei democratici.
Il socialismo muove da una radicale critica del liberalismo e della società capitalistico-borghese di cui esso è espressione. Per i socialisti l’esaltazione della libertà dell’individuo e del mercato nasconde in realtà lo sfruttamento e l’oppressione della maggior parte della società (il proletariato) da parte della borghesia. Le garanzie di cui parla il liberalismo sono dunque appannaggio di una ristretta minoranza che detiene il potere economico, il potere politico, la cultura. All’uguaglianza formale, che riguarda i diritti civili e politici, deve sostituirsi, per i socialisti, l’uguaglianza sostanziale delle condizioni e delle opportunità di vita. Questo conduce i socialisti a mettere in discussione la proprietà privata, considerata come fonte di un sistema sociale economico-sociale ingiusto e anche irrazionale.
Il proletariato è quella moltitudine di dipendenti della grande industria che prestano la loro manodopera più o meno qualificata nella produzione di beni senza possedere alcuna proprietà dei mezzi di produzione e sono retribuiti a contratto[1].
Il cattolicesimo nel primo Ottocento dopo gli anni traumatici della Rivoluzione francese e dell’era Napoleonica era ritornato come se la storia non avesse insegnato nulla all’alleanza trono-altare, ovvero fedeltà al re dinastico ed agli insegnamenti tradizionali della Chiesa, adducendo alla Dea Ragione, propria degli illuministi, la responsabilità delle disgrazie di fine settecento. In parole semplici la Providenza Divina era il motore del mondo, le sofferenze umane derivavano dal peccato originale, da cui il bisogno di accettare i sacrifici, il male era causato dagli uomini che facevano un uso distorto della libertà, dalle autorità e dall’organizzazione sociale. Il Re come l’unto del Signore non poteva sbagliare nella gestione dello stato aiutato dalla Nobiltà. Contemporaneamente il Papa e la gerarchia ecclesiastica non potevano essere messi in discussione perché erano gli interpreti della volontà divina.......................................
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