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Come sono andati gli “stati generali” del M5S


Attesi da mesi e più volte rinviati, si sono tenuti su Zoom: sono prevalse le proposte dell'ala di Di Maio, ma per ora di concreto si sa poco


Il Post 16 novembre Domenica 15 novembre si sono conclusi i cosiddetti “stati generali” del Movimento 5 Stelle, un congresso atteso da mesi necessario a riorganizzare il partito dopo il periodo difficile caratterizzato dalle dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico, dalle molte sconfitte alle elezioni amministrative, dalla perdita nazionale di consensi e dal passaggio dal primo al secondo governo Conte. Il documento finale di sintesi – che conterrà quasi sicuramente le proposte di istituire un organo collegiale nazionale, alleanze solo programmatiche e un massimo di due mandati per gli eletti – sarà pubblicato solo tra qualche giorno e dovrà essere votato dagli iscritti al partito, ma non è ancora chiaro come (con voto unico, per parti o per singoli quesiti, ha detto al Corriere l’attuale capo politico Vito Crimi). Dopodiché si voterà l’organo collegiale che avrà il compito di guidare il “nuovo” partito. In generale, durante gli “stati generali” non si è formalmente concretizzata alcuna rottura tra le due principali correnti interne, quella più istituzionale e “governista” di Luigi Di Maio e Vito Crimi – che ha prevalso – e quella più critica di Alessandro Di Battista e Davide Casaleggio, presidente dell’Associazione Rousseau, che non ha però partecipato ai lavori. I principali interventi I cosiddetti “stati generali” si sarebbero dovuti tenere in primavera, ma poi sono stati rinviati. A metà ottobre sono iniziati su Zoom con una serie di incontri provinciali (per città grandi come Roma) e regionali, e si sono conclusi sabato 14 e domenica 15 novembre con un appuntamento nazionale online, al quale hanno partecipato 305 rappresentanti locali. Nel pomeriggio di domenica, in una diretta streaming durata circa quattro ore, i lavori sono stati aperti da Vito Crimi, sono intervenuti il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il capo delegazione al governo del Movimento 5 Stelle Alfonso Bonafede, e poi 30 iscritti scelti attraverso la votazione on line su Rousseau. Giuseppe Conte, collegato dal cortile di palazzo Chigi, ha detto che «la coerenza delle proprie idee è senz’altro un valore, ma quando governi devi affrontare la complessità. Quindi bisogna avere il coraggio e l’intelligenza di cambiarle, le idee». Tra gli altri hanno parlato anche Lucia Azzolina, ministra dell’Istruzione, e Roberto Buffagni, viceministro dello Sviluppo economico, che ha detto che va «valorizzata la figura della donna nella nostra società, a partire dalla parità salariale, anche perché è stata una donna, è stata Virginia Raggi a prendere una ruspa e ad abbattere le case dei Casamonica, non quel fenomeno con la felpa». Poi sono intervenuti, uno dopo l’altro, Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio, esponenti principali dei due fronti interni contrapposti. Negli ultimi anni Di Battista ha criticato spesso la gestione e le scelte di Di Maio, fino a pochi mesi fa capo politico del partito: ha preso posizione contro l’alleanza «strutturale» con il Partito Democratico e, come Davide Casaleggio, ha in generale accusato la dirigenza del partito di aver snaturato il M5S. Durante il suo intervento agli “stati generali”, con toni a tratti comizianti, Di Battista non ha esasperato il conflitto in corso dicendo anzi che non vede l’ora di rimettersi «in prima linea per i Cinque Stelle: vedremo come e in che ruolo». Ha comunque chiesto una serie di “garanzie”, che ha elencato: l’uscita dei Benetton dalla società che ha la concessione di Autostrade; una presa di posizione chiara rispetto al tema del conflitto di interessi tra sistema finanziario e gruppi mediatici; «che venga scritto nero su bianco che non vi sarà alcuna deroga alla regola del doppio mandato»; che «qualunque legge elettorale dovesse essere approvata il M5S si presenterà alle prossime elezioni politiche da solo»; che il Movimento «non appoggerà mai una legge elettorale senza le preferenze, questo per togliere il potere di controllo alle segreterie politiche»; e, infine, che venga istituito un comitato di garanzia, composto da iscritti e parlamentari ma non da esponenti di governo, per regole chiare e trasparenti sulle nomine nei ministeri e nelle partecipate. Subito dopo ha parlato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che ha ringraziato Conte e citato alcune misure approvate dai governi di cui ha fatto parte, come il reddito di cittadinanza: «Io voglio un Movimento autonomo, forte e protagonista, che si deve far valere di più nel governo e quindi deve cambiare passo. Non basta solo dirci che siamo il terzo polo o la terza via: quella è una posizione, non un’identità, l’identità si costruisce con i temi». Ha citato l’ambiente, la riforma fiscale «che non doveva essere rinviata» e la vicenda Autostrade («O si estromettono i Benetton o la concessione deve essere revocata subito»). Sulle nomine, rispondendo a Di Battista, ha spiegato: «Io non capisco perché dobbiamo farci male da soli, non è un dibattito interno al Movimento, noi stiamo al governo, facciamo subito una legge con un percorso pubblico, che preveda candidature pulite e trasparenti e combattiamo per questo». Sul limite dei due mandati Di Maio ha detto: «manteniamolo, che è sacrosanto»; ma qualche mese fa era stato lui stesso a proporre soluzioni creative per superarlo, come quella del “mandato zero”. E sull’Europa – dove i parlamentari del M5S non sono iscritti ad alcun gruppo, cosa che limita moltissimo la loro attività – ha detto: «Per rafforzarci credo che il M5S debba anche superare le ambiguità in ambito internazionale, entrare in una grande famiglia europea». Tra gli interventi più citati dai giornali c’è quello del presidente della Camera Roberto Fico, che ha ribadito la posizione “governista” e ha criticato direttamente, ma senza mai citarlo, Di Battista: «Si parla molto di ritorno alle origini, ma secondo me è un po’ ipocrita ridurre a questo la riflessione sulle criticità di un Movimento, cresciuto tanto e molto in fretta». E ancora: «Siamo entrati nelle istituzioni e abbiamo vissuto le contraddizioni del passaggio dalle piazze ai palazzi, da opposizione a forza di governo. Riconoscerlo non significa rinnegare le origini, ma evolvere tenendo fede all’essenza del progetto. Una comunità che si pone dubbi e cerca sintesi ha un futuro davanti a sé. Se vive di slogan e dogmi, è statica e resta nel passato». Fico, dicendo che ora è il momento di «costruire», ha espresso perplessità «su alcune derive del movimento», e su «chi utilizza gli strumenti della vecchia politica: cordate, correnti, personalismi, la strategia muscolare della conta. Non c’è uno più puro degli altri». Quindi? Per ora le ipotesi di scissione che avevano preceduto lo svolgimento degli “stati generali” non si sono concretizzate. Sui principali temi di cui si è discusso sono emerse delle posizioni condivise, ma non è ancora chiaro come quelle questioni saranno declinate all’interno del documento finale: molti delegati si sono espressi a favore del mantenimento del vincolo dei due mandati (con deroghe o senza, come chiede Di Battista, non è però stato deciso); è prevalsa l’idea di non fare alleanze strutturali con altre forze politiche, ma anche qui con delle differenze: per Di Maio e Crimi le uniche intese potranno essere «programmatiche», per Roberto Fico occorre «proseguire il confronto con il centrosinistra con il quale governiamo, anche a livello amministrativo». Sulla futura guida del M5S, il modello principale è stato quello proposto da Di Maio: un organo collegiale e non un solo capo politico. Non si sa però nulla su come sarà composto, da chi, da quante persone, né come sarà votato nei prossimi giorni. Repubblica e Corriere ipotizzano che gli organi, alla fine, potrebbero essere due: il primo più largo e simile a quella che nel PD è la direzione nazionale, il secondo più ristretto e simile a una segreteria di partito. Il Corriere aggiunge: «Per varare il nuovo organo prima dovrà essere cambiato lo statuto, e qui i tempi iniziano a farsi stretti: per poter poi strutturare la votazione per il nuovo direttivo, le modifiche allo statuto andranno votate entro fine novembre (serve un preavviso per la convocazione dell’assemblea degli associati) o nei primissimi giorni di dicembre, in modo da arrivare alla scelta finale se possibile prima del periodo natalizio». Sul ruolo di Rousseau e di Davide Casaleggio – con il quale da settimane si è aperto uno scontro sia sulla gestione dei fondi che dei dati del partito – non è invece chiaro che cosa succederà. Di Maio ha detto: «Troveremo una nuova sinergia con Rousseau che ci consentirà di avere la democrazia diretta in cui credo fermamente». Davide Casaleggio, nonostante fosse stato invitato per un saluto, come ha spiegato Crimi, non ha preso parte agli “stati generali”.

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