Come venne finanziata la grande guerra 1914/1918
In Gran Bretagna 11 novembre è dal 1919 la festa degli eroi che hanno vinto la guerra 1914/1918, ed il papavero è il simbolo perchè i primi morti inglesi caddero in Belgio in agosto, quando fiorivano ancora i papaveri.
Accenni
Lo scoppio della prima guerra mondilale (Il 28 Luglio 1914 l’Austria dichiarò guerra alla Serbia. Il 1° agosto 1914 la Germania dichiarò guerra alla Russia, e poi il 3 agosto alla Francia.La Gran Bretagna a sua volta il giorno dopo, 4 agosto, dichiarò guerra alla Germania.) fu accidentalmente dovuto all’assassinio del principe ereditario Austriaco a Sarajevo per opera di studenti irredentisti serbi. In realtà l’Europa divisa in due blocchi, l’Intesa( Francia , Gran Bretagna, Russia) e la triplice Alleanza(Germania, Austria Ungheria, Italia), si era preparata alla guerra da tempo. Si avvera una svolta fondamentale nella gestione della guerra: la capacità di produrre armamenti sempre più sofisticati prevale sul numero dei combattenti che una nazione può schierare. Si ha l’affermazione dell’industria bellica, che ha bisogno di operai, maestranze, ma anche di tecnologia e di ricercatori forniti dall’Università o creati all’interno, capace di fornire sia le armi sempre più sofisticate, ma anche logistica mezzi di trasporto e vettovagliamento e vestiario ed assistenza sanitaria. Vi è un fronte dove combattono i soldati avversi, ma vi è anche un fronte interno dove tutta la popolazione abile deve concorrere a rifornire i soldati al fronte.
L’Italia entrò in guerra contro l’Austria il 24 maggio 1915. Lo svolgimento della guerra, con gli Austriaci schierati sulle creste delle montagne, dimostrò due assunti che furono poi verificati in altre situazioni analoghe( Carpazi e Caucaso).
– Primo: chi controllava il crinale era in una posizione di forza pressoché imbattibile specialmente in inverno con la neve e temperature sotto lo zero..
– Secondo: il controllo delle creste era fondamentale per fare avanzare l’esercito e conseguire una vittoria. Apparentemente l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria era determinata dalla volontà di annettere Trento e Trieste, ma in verità vi era anche un groviglio di interessi economici e sociali contrastanti……………..
In due anni di guerra sanguinosa l’Italia aveva fatto pochi progressi sul terreno essendo gli austriaci ben posizionati sulle creste delle Alpi in Trentino ed in Friuli………..
Il 24 ottobre1917 gli austriaci rinforzati da varie divisioni tedesche attaccano su tutto il fronte friulano usando nella prima fase anche gas asfissiante. A Caporetto avviene lo sfondamento in gran parte per responsabilità del Generale Capello che non diede l’ordine a tutta la sua armata di aprire il fuoco con i cannoni,( come gli era stato ordinato da Cadorna) e quando lo diede tutti i collegamenti radio erano stai tagliati dal preciso tiro delle artiglierie austriache. Alcuni disertori rumeni avevano consegnato alcun giorni i piani dettagliati dell’attacco germanico…… Viene ordinata la ritirata ed i resti dell’esercito italiano si schiera lungo il fiume Piave. Sostituito Il generalissimo Cadorna con Diaz si cura il benessere dei soldati
Consapevoli che ora bisognava difendere la patria da parte di un invasore (un padrone tedesco è sempre peggio di uno italiano) i fanti italiani dimostrano grande combattività annientando sul nascere il tentativo di sfondamento degli austriaci sul Piave nel 15/22 giugno 1918……. Ad ottobre l’Austria- Ungheria è alla fame, e l’Impero si disintegra in piccole patrie: Cecoslovacchia, Croazia, Polonia, Romania. L’esercito austriaco schierato sul Piave è ormai demotivato (tutti i soldati vogliono ritornare alle loro nuove patrie) non può opporre grande resistenza all’attacco finale dell’esercito Italiano ( Battaglia di Vittorio Veneto iniziata il 24 ottobre). Il 4 Novembre1918 verrà firmato l’armistizio. L'Italia aveva vinto la sua quarta guerra di indipendenza ad un prezzo elevato.
Come venne finanziata la grande guerra
dal Volume III ....seconda parte ...Stato sociale nel 1914/1918
Il Gold standard era un sistema di mono-metallismo aureo a cambi fissi in vigore dal 1870 al 1914, che prevedeva la circolazione di monete d’oro e di biglietti di banca pienamente convertibili in monete d’oro e viceversa. Inoltre vigeva la libertà di coniazione e di fusione, nonché di importazione e di esportazione del metallo. La finanza globale nel primo decennio del XX secolo era basata su questo sistema. Ne facevano parte 59 nazioni.
L’Italia vi aderì, ma riuscì a garantire la convertibilità della lira solo per brevi periodi, dalla nascita dello Stato unitario fino al 1866, dal 1883 al 1891 e di fatto, ma non ufficialmente, dal 1902 al 1914 e dal 1927 al 1931. Le banche centrali erano nominalmente private, ma avevano la funzione pubblica di sostenere le valute nazionali dei paesi sovrani. In caso di crisi, le banche centrali avrebbero dovuto assumersi due responsabilità:
1) difendere la parità della loro moneta con l’oro e quindi l’intero edificio del gold standard internazionale. Così si comportarono la Gran Bretagna e gli Stati Uniti determinati a sostenere il tasso di cambio tra la sterlina inglese ed il dollaro per facilitare i prestiti.
2) fornire all’economia una massa di denaro-carta in grado dir far fronte alle esigenze belliche.
La Francia, la Russia, la Germania e l’Austria-Ungheria stamparono troppa carta-moneta e scelsero di abbandonare il gold standard.
Londra, centro della finanza mondiale, nel 1913 possedeva i mercati più grandi e più liquidi ed era il luogo privilegiato per lo sconto delle cambiali finanziarie, così come per l’estensione dei prestiti a lungo e a breve termine, la chiusura dei contratti assicurativi e il commercio di valuta estera. Nel 1912 la City di Londra finanziava oltre il 60 per cento del commercio mondiale attraverso i suoi mercati di sconto per le cambiali.
Il 70% della rete globale di cavi telegrafici era composta da linee gestite da compagnie britanniche; le compagnie di navigazione inglesi trasportavano il 55% del commercio marittimo mondiale e la Gran Bretagna controllava circa tre quarti del carbone coke usato dalle navi mercantili del mondo.
Il sistema finanziario di Parigi era incentrato sulle grandi banche d’affari: il Crédit Lyonnais, che nel 1913 era la più grande istituzione finanziaria del mondo; la Société Générale e il Comptoir National d’Éscompte de Paris. Questi istituti incentravano le loro attività sulla finanza governativa e sugli investimenti stranieri in tutto il mondo.
A Berlino, il terzo centro finanziario europeo, i principali attori erano la Deutsche Bank, la Disconto-Gesellschaft e la Dresdner Bank, fortemente coinvolti nella finanza commerciale, mentre le casse di risparmio regionali e locali costituivano la grande maggioranza del capitale finanziario del Reich.
Negli Stati Uniti, il sistema finanziario era allo stesso modo vasto e regionalizzato con banche di investimento come JP Morgan, Kidder Peabody, altre Bankers Trust e la National City Bank tutte attive nel finanziamento industriale.
Gli approcci nazionali dei paesi belligeranti al finanziamento della guerra
I vari Stati belligeranti finanziarono la guerra100 sostanzialmente in tre modi:
a) tramite le tasse che servivano a controllare l’inflazione, riducendo l’offerta di denaro all’economia civile. Era il modo più diretto e tradizionale per far fronte alle spese di guerra. Tuttavia in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, le tasse pagate non riuscirono a coprire più di 1/4 delle effettive spese di guerra. In Germania e in Italia, le tasse coprirono rispettivamente il 6% e il 15% delle spase di guerra. In Austria-Ungheria, Russia e Francia nessuna spesa corrente della guerra fu coperta dalle le tasse, che furono destinate a coprire i normali esborsi di bilancio in tempo di pace;
b) tramite prestiti a breve termine contratti con le banche centrali o private, oppure tramite debito a lungo termine con emissione di bond sottoscritti da banche private, da imprese, da cittadini privati e da istituzioni varie;
c) Infine, tramite l’aumento della quantità di denaro in circolazione, che diversi paesi generarono stampando carta-moneta sia per l’acquisto di buoni di guerra, sia per offrire moneta all’economia nazionale.
La Francia e la Russia scelsero di pagare parte delle spese iniziali di mobilitazione alla guerra attingendo alle loro ingenti riserve auree accumulate, che ammontavano rispettivamente a $ 840 milioni e $ 750 milioni ed erano le più grandi in Europa. I francesi e i russi non esclusero il ricorso a un’economia di guerra tramite severi controlli statali e razionamento di cibo e materie prime.
In Francia il patto politico e sociale dell’Union Sacrée forniva legittimità democratica a tali sacrifici, ma nella Russia autocratica il governo rispondeva all’esaurimento delle risorse economiche e alle privazioni materiali con scelte di governo sempre più arbitrarie.
La Gran Bretagna entrò in guerra con l’intenzione di non stravolgere la vita della società civile e di mantenere la libertà economica; questo includeva la relativa libertà per gli affari e nessuna coscrizione se non necessaria. La visione economica britannica intendeva la guerra come qualsiasi altra spesa: senza i soldi per pagarla, non si poteva fare. La Gran Bretagna aveva tradizionalmente finanziato le sue guerre per un terzo con aumenti delle tasse e per due terzi con prestiti. Essa trasse enormi benefici dalla riforma prebellica del sistema fiscale introducendo un’imposta sul reddito.
L’economia tedesca era ricca e in rapida crescita, ma al Reich mancava una struttura fiscale federale in grado di imporre tasse dirette per finanziarsi le spese di guerra. Solo l’istituzione di banche di prestito regionali (Darlehenskassen) consentì la creazione di enorme liquidità e la monetizzazione del debito pubblico. In ogni caso la Germania impose un’economia di guerra severissima e dirigistica, razionando tutti i prodotti alimentari, requisendo animali da soma e macchinari e imponendo la priorità al trasporto ferroviario militare.
Le potenze centrali
Il blocco commerciale e finanziario imposto da Gran Bretagna, Francia e Russia agli Imperi Centrali, oltre ad impedire qualsiasi transazione anche dai paesi neutrali, portò anche alla confisca di beni privati e aziendali e all’espulsione di tutte le aziende tedesche e austro-ungariche presenti nei paesi dell’Intesa.
Per la Germania l’espropriazione da parte dei suoi avversari fu molto più dolorosa che per l’Intesa. Almeno la metà dei 21-25 miliardi di marchi di investimenti che il Reich deteneva in tutto il mondo nel 1914, si trovava nei territori nemici, mentre solo il 10-12% degli investimenti francesi e un mero 1,3% del capitale britannico erano allocati negli Imperi Centrali. La Reichsbank sfuggì a quegli espropri, vendendo circa cinque miliardi di marchi per sostenere lo sforzo bellico. Nei suoi rapporti con i paesi neutrali, la priorità tedesca era sempre quella di ottenere forniture adeguate di beni fisici e input per sostenere lo sforzo bellico piuttosto che fondi. Nel corso della guerra, l’affidabilità creditizia di Vienna e Budapest fu garantita quasi integralmente da Berlino.
All’inizio del 1918, la Germania possedeva il 71% del debito estero austro-ungarico. Inoltre, nel corso della guerra, la Banca austro-ungarica vendette tre quarti delle sue riserve d’oro alla Reichsbank per finanziarsi le importazioni: una perdita di lingotti d’oro maggiore rispetto alla banca centrale di qualsiasi altro paese belligerante.
L’impero ottomano in cambio della sua entrata in guerra contro l’Intesa, ricevette oro e prestiti dall’l’Austria-Ungheria, tramite Berlino. Il debito estero ottomano salì da 161 milioni di sterline turche nel 1914, a 454 milioni di sterline turche entro il 1918. A causa dell’inflazione, il valore reale del debito era relativamente basso e, poiché era stato lanciato un solo prestito di guerra, gli ottomani non dovettero aumentare le tasse.
La Bulgaria, un paese relativamente sottosviluppato, era disposta ad accettare alleanze contro facili prestiti. Quando, nell’estate del 1914, la tedesca Disconto-Gesellschaft offrì un credito cinquantennale di 120 milioni di franchi al 5% di interesse in cambio di una partecipazione allo sviluppo industriale del paese, i bulgari accettarono ben volentieri. I tentativi dei francesi di convincere la Bulgaria ad aderire all’Intesa promettendo di acquistare l’intero raccolto erano allettanti ma insufficienti, e nel settembre del 1915 Sofia si unì alle Potenze Centrali. Una decisione immediatamente premiata con un credito mensile da parte della Disconto-Gesellschaft.
I risvolti finanziari dell’intesa
Se gli Stati Uniti erano divenuti sempre più il principale fornitore di fondi, la Gran Bretagna era il principale orchestratore della loro distribuzione, destinando il credito ai suoi alleati e abbinando i fondi alle esigenze strategiche e operative della guerra su più fronti. L’asse Wall Street-Londra fra il 1916 e il 1917 rappresentò il nucleo di quel sistema di finanziamento delle esigenze belliche dei paesi dell’Intesa. Britannici e francesi usarono il denaro americano e i mercati dei capitali per ottenere credito per loro stessi e per Russia, Italia, Serbia, Grecia, Portogallo e Belgio.
Tra il 1914 e il 1918, gli Stati Uniti furono il più grande creditore in tempo di guerra, prestando un totale di $ 7 miliardi, di cui $ 3,7 alla Gran Bretagna, $ 1,9 alla Francia e $ 1 all’Italia.
Al secondo posto stava la Gran Bretagna con un credito totale di $ 6,7 miliardi, in gran parte verso la Russia, l’Italia e la Francia.
La Francia, a sua volta, aveva prestato $ 2,2 miliardi, quasi la metà dei quali alla Russia, $ 535 milioni al Belgio e il resto ad alleati più piccoli.
La Gran Bretagna e la Francia erano allo stesso tempo sia grandi prestatori che mutuatari.
Gli Stati Uniti furono la base di questa piramide del credito globale, in quanto unico governo che non aveva mai dovuto finanziarsi attraverso il debito estero.
Alla fine della gerarchia del credito c’erano debitori come l’Italia, che doveva 3 miliardi di dollari, e la Russia, che doveva 3,6 miliardi di dollari. La Francia fu costretta a ricorrere a prestiti sulle piazze di Londra e New York da diversi finanziatori. Già prima della guerra il suo debito governativo costituiva oltre il 70% del PIL, uno dei più alti tra tutti i belligeranti. Aveva introdotto un’imposta sul reddito solo nel giugno 1914. Inoltre, la distruzione di industrie e terreni agricoli nel nord e nell’est era aggravata dalla coscrizione militare, che riduceva ulteriormente la base fiscale. Infine, gran parte della ricchezza estera francese era costituita da investimenti a lungo termine in Europa centrale e orientale che non potevano essere recuperati rapidamente. Di conseguenza, la Francia finanziò l’83,5% delle sue spese di guerra attraverso un’ampia gamma di strumenti di debito: titoli di difesa nazionale, buoni del tesoro, prestiti esteri e di guerra. Quando la guerra finì, la Francia era debitrice verso gli Stati Uniti ed il Regno Unito, ma creditrice verso la Russia, Serbia, Belgio e Grecia.
L’entrata dell’Italia nell’Intesa nel maggio 1915, aggiunse non solo un peso strategico ma anche un ulteriore onere finanziario. Con l’ingresso in guerra, la posizione complessiva in Italia del bilancio e della bilancia dei pagamenti era migliore di quella francese. Tuttavia, poiché le due principali fonti di guadagno della bilancia commerciale – le rimesse degli emigranti e il reddito derivante dal turismo – diminuirono a causa alla guerra, l’Italia non ebbe sufficienti entrate per coprire le sue importazioni di generi alimentari, carbone e input cruciali per l’industria bellica. L’indebitamento italiano, quindi, derivava principalmente dalla necessità di finanziare le importazioni. Ad un prestito iniziale di £60 milioni dalla Bank of England fece seguito un credito mensile britannico di £10 milioni. Verso la fine del 1915, Roma iniziò a collocare i suoi buoni del tesoro nel mercato americano. Per il 1916 il Tesoro britannico concesse all’Italia un credito di £122 milioni, di cui £65 milioni potevano essere spesi negli Stati Uniti. Ancora, il Governo britannico fornì alla Banca d’Italia 1 milione di sterline al mese per sostenere la lira sui mercati dei cambi. La dipendenza italiana dalla finanza estera si aggravò, e nell’estate del 1917 quasi tutte le forniture di alimenti e di energia erano finanziate attraverso Londra, Parigi e New York. Tuttavia, la maggior parte del debito italiano rimase domestico: alla fine della guerra si attestava al 119% del PIL, di cui i 3/4 erano detenuti all’interno del paese.
Il problema era che la Lira si era deprezzata di più del 40%, cosa che rendeva questi debiti esteri proporzionalmente molto più difficili da rimborsare rispetto agli obblighi nei confronti dei creditori privati italiani, che erano stati erosi dall’inflazione.
La Russia assorbiva le maggiori risorse finanziarie, specialmente dalla Francia che sin dal 1890 vi aveva investito pesantemente. I prestiti in tempo di guerra superarono significativamente i prestiti prebellici e nel corso del conflitto l’indebitamento della Russia verso la Gran Bretagna aumentò di 5,1 miliardi di rubli, di 1,34 miliardi di rubli verso la Francia, e di altri 2 miliardi di rubli verso gli Stati Uniti e l’Italia. Oltre il 70% dei prestiti anglo-francesi tra il 1914 e il 1917 fu assunto per conto di Pietrogrado.
Quando sulla scia della Rivoluzione d’Ottobre, i bolscevichi annunciarono che avrebbero ritirato la Russia dalla guerra e non avrebbero onorato i debiti dell’era zarista, la costernazione attanagliò le capitali occidentali. Cancellare oltre $ 5 miliardi di debiti verso i creditori stranieri fu il più alto default della storia fino a quel momento. Per la Gran Bretagna, che disponeva di un portafoglio molto diversificato di investimenti stranieri in tutti i continenti, si trattò di una grave battuta d’arresto, ma non di un duro colpo. Ma per la Francia, che possedeva il 43% del totale di 9,4 miliardi di rubli che era stato cancellato, con le attività russe rappresentavano un quarto di tutti gli investimenti esteri francesi, l’esito fu disastroso. Di conseguenza, la Francia passò dall’essere creditore netto a debitore netto. Inoltre, 3/4 del debito russo posseduto dalla Francia e detenuto da 1,5 milioni di investitori privati della classe media alimentarono un forte sentimento anticomunista.
Attori pubblici e privati nel sistema finanziario di guerra
La finanza di guerra fu gestita da un mix di attori pubblici e privati che per molti aspetti superavano il potere regolativo dello Stato. Per i contemporanei come John Hobson (1858-1940) e Vladimir Lenin (1870-1924) questa fu la prova che il capitalismo aveva raggiunto uno stadio imperialista.
L’influenza di cui godevano i presidenti di grandi istituzioni finanziarie, società finanziarie e conglomerati industriali era certamente enorme. Nell’agosto 1914, il socio di J.P. Morgan & Co. Henry Davison (1867-1922) organizzò un accordo con la Bank of England che fece della sua banca lo sponsor ufficiale di tutti i crediti nei confronti del Governo britannico emessi sui mercati americani ed in seguito anche della Francia e della Russia. Per i suoi servigi all’alleanza ottenne una commissione dell’8,3%, che fruttò oltre $ 200 milioni di profitti.
Successivamente Il presidente Wilson, in contrasto con il presidente della Fed Benjamin Strong, impose restrizioni alle banche nel concedere prestiti all’Intesa.
Quando Washington dichiarò guerra alla Germania nell’aprile 1917, il finanziamento privato dei prestiti all’Intesa negli Stati Uniti fu sostituito da finanziamenti forniti direttamente dal governo americano.
Cambiamenti nella distribuzione di reddito e ricchezza
La guerra fu molto redditizia per un piccolo ma potente gruppo di imprese coinvolte nella produzione di armamenti e nelle industrie manifatturiere e di servizi.
Ma le banche d’investimento in tutti i paesi, tranne quelle americane, furono colpite duramente, così come le banche che finanziavano il commercio e le industrie orientate all’esportazione, come la meccanica, il tessile e altri beni di consumo.
Enormi furono i costi e le privazioni imposti alla popolazione per il finanziamento della guerra. C’era un sentimento diffuso e giustificato che i capitalisti, che avevano rastrellato guadagni indebiti a scapito della popolazione, fossero ”profittatori di guerra”.
Diversi Governi approfittarono di questi sentimenti ostili introducendo una tassa sui profitti in eccesso. In Gran Bretagna, negli Stati Uniti e in Italia, questa tassa venne applicata solo alle imprese; in Francia e in Germania anche alle persone fisiche e alle società.
Nondimeno, le imposte sui profitti in eccesso non potevano impedire grossi cambiamenti nella distribuzione del reddito, e ne soffrirono coloro che vivevano a reddito fisso, a scapito dei produttori che potevano adeguare i prezzi dei loro prodotti all’inflazione.
L’inflazione globale
La prima guerra mondiale creò un aumento generalizzato dei prezzi a livello globale. Considerando pari a 100 il livello dei prezzi nel 1913, gli aumenti furono significativi ovunque. In tutte le economie in guerra, i prezzi risultarono aumentati nel 1918: 196 in Giappone, 203 negli Stati Uniti, 235 in Gran Bretagna, 217 in Germania, 340 in Francia, e 409 in Italia. Questa inflazione fu abbattuta attraverso una prolungata e intenzionale deflazione dell’offerta di moneta globale, avviata con l’aumento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve nel marzo 1920 e successivamente seguita dalla maggior parte delle banche centrali di tutto il mondo. Gli Stati Uniti sostennero il ruolo principale per il ritorno al gold standard. Ne risultò una netta recessione mondiale nel 1920-1921. Questo consolidamento monetario fu accompagnato da un’ondata di violenta repressione politica che pose fine al biennio rosso che si era manifestato in tutta l’Europa.
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