Conflitto Berlusconi- Fini
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1.3 – La rottura tra Fini e Berlusconi
L’alleanza del PdL con la Lega e l’assorbimento di Alleanza Nazionale ebbero successo alle elezioni di aprile 2008 e il Centrodestra vinse le elezioni. Fini ottenne la presidenza della Camera e per qualche tempo tutto andò liscio. Tuttavia i contrasti fra Fini e Berlusconi non si fecero attendere, in quanto Berlusconi non si rivelò disponibile a condividere la sua leadership con Fini, quando si trattò di prendere decisioni importanti. Il rapporto fra i due leaders iniziò a sgretolarsi sempre di più.
A tale proposito si riporta uno stralcio di intervista dell’epoca in cui Italo Bocchino, esponente di Alleanza Nazionale, confidò al giornalista Bruno Vespa la sua opinione sul ruolo di Fini:
All’inizio questo ruolo gli piaceva, perché gli consentiva di regnare senza essere invischiato nei meccanismi quotidiani di governo. Ma, salendo alla Presidenza di Montecitorio, ha abdicato completamente al suo ruolo politico. Aveva detto ai Colonnelli: occupatevi voi del partito, poi pensiamo tutti insieme al futuro. Salvo poi accorgersi che i Colonnelli, lasciati liberi, si erano messi in proprio, com’è naturale che accada… Quando stavano tutti dentro AN, lui poteva anche tenerli a distanza, ma sempre da lui dovevano tornare, perché restava l’elemento principale di raccolta del consenso… non appena il capo è diventato Berlusconi e il consenso lo garantiva lui, quelli non avevano più bisogno di Fini. E quando Gianfranco se ne è accorto, era già tardi.
In realtà, Gianfranco Fini non si ribellò perché perplesso dall’uso, violento e personale, che il Premier continuava a fare dello Stato anche nella legislatura in corso, bensì per non vedersi ridimensionato, tagliato fuori. Berlusconi gli stava “comprando” la sua base elettorale.
Il 15 aprile 2010 Bruno Vespa (noto commentatore politico alla televisione di Stato RAI) raccontò di avere assistito a gennaio, nel Salotto di rappresentanza del Presidente della Camera, a Montecitorio, a un incontro tra Fini e Berlusconi:
FINI – prese la parola e sputò subito il rospo: “Ero titolare di una piccola azienda, che gestivo in assoluta autonomia e libertà e che aveva un fatturato sicuro. Un’azienda non grande come la tua, caro Silvio, ma di grande dignità e sulla quale avevo investito tutta la mia vita. Questa azienda si occupava di politica… ed in tempo di grandi fusioni ho pensato che fosse utile conferire questa piccola azienda a una più grande e l’ho fatto, mai immaginando che le cose sarebbero finite così. L’ho conferita pensando che dalla fusione potesse derivare una mia presenza politica più forte. Le cose sono invece andate diversamente, al punto che rischio ormai di perdere sia il vecchio fatturato sia la mia dignità, alla quale per nessuna ragione intendo rinunciare. La sostanza è che mi trovo emarginato, non conto più niente, e io non posso accettare una tale situazione… Non rinnego l’alleanza con te, non faccio ribaltoni, ho sempre condannato chi li ha fatti, ma rivendico la mia libertà, e se questa non può esistere nei gruppi parlamentari attuali, vorrà dire che ne costituisco di miei.”
BERLUSCONI – ascoltò in silenzio – a parte “qualche sporadica interruzione” – ma poi sbottò, attaccando: “Ma perché mi fai sempre il controcanto?… C’è tempo e modo di chiarirsi nelle sedi opportune. Se ti senti emarginato nella posizione di Presidente della Camera, vieni a fare il Presidente del PdL!”.................................................................................
FINI: agitò il dito urlando: “Che fai mi cacci?… Non ho nessuna intenzione di dimettermi dalla presidenza della Camera. Né tantomeno di lasciare il partito. Oggi è un giorno importante per il PdL, viene meno la fase dell’unanimismo o della totale convergenza e si apre una positiva e democratica fase di discussione”.
Il documento finale del convegno ottenne 12 voti contrari e si ritenne che soltanto il 6% del partito fosse disposto a seguire Fini.
Lo scisma si materializzò il 30 luglio del 2010 quando 33 Deputati e 10 Senatori (di cui 2 in agosto) lasciarono il PdL e aderirono al nuovo gruppo parlamentare: Futuro e Libertà Per l’Italia (FLI), che garantiva soltanto un appoggio condizionato al Governo. Passarono alla nuova formazione anche cinque componenti del Governo: il Ministro Andrea Ronchi, il viceministro Adolfo Urso, i sottosegretari Antonio Buonfiglio, Roberto Menia e Pasquale Viespoli. Il Presidente della Camera Gianfranco Fini aderì al gruppo l’8 settembre.
Il 5 settembre del 2010, alla festa del tricolore a Mirabello (FE), il Presidente della Camera Gianfranco Fini criticò l’operato del Governo e annunciò il distacco di FLI dal Pdl. Il 17 novembre gli esponenti del nuovo soggetto politico Futuro e Libertà per l’Italia impegnati nel Governo, rassegnarono le dimissioni. Lasciarono l’Esecutivo il Ministro per le Politiche Europee Andrea Ronchi, il viceministro Adolfo Urso e i sottosegretari Antonio Buonfiglio, Roberto Menia, Giuseppe Maria Reina e Guido Viceconte.
Fini scomparve dalla scena politica dopo essere stato coinvolto in scandali molto gravi. Fu indagato per avere tratto profitto personale dalla vendita dichiarata a prezzo stracciato (300.000 euro, mentre il vero prezzo di vendita era stato di 1.350.000 euro) di un appartamento del partito a Montecarlo nel 2010 al genero Giancarlo Tulliani, che si era servito di finanziamenti provenienti da affari non leciti in cui era coinvolto Francesco Corallo il re delle slot machines.
Al completamento delle indagini, il 18 luglio del 2018 Fini e i Tulliani furono rinviati a giudizio per riciclaggio, come complici di Francesco Corallo ed altri.
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