Fino a che punto siamo disposti a fare sacrifici per opporci all’aggressione russa contro l’Ucraina?
Fino a che punto siamo disposti a fare sacrifici per opporci all’aggressione russa contro l’Ucraina? Su questa scelta si è aperta una faglia che divide i sostenitori di ciascuno degli schieramenti politici maggiori
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Ichino
La presidente della Commissione UE con il leader ucraino a Kiev il 15 settembre scorso
Colpisce lo stupore diffuso per l’alto tasso delle astensioni dal voto preannunciato dai sondaggi. Di che cosa ci stupiamo? Si va a votare tutti o quasi tutti quando c’è da compiere una scelta fra due o più opzioni politiche ben distinte e tra partiti che prendono chiaramente posizione in un senso o nell’altro; ma in Italia oggi tutti fanno a gara a non parlare della scelta più importante che ci attende, o a sminuirla.
Apparentemente, il programma di governo per i prossimi quattro anni è definito fin nei dettagli da un impegno preso con la Commissione Europea, in cambio di un finanziamento enorme: oltre 200 miliardi. Quale che sia la maggioranza in Parlamento dopo il 25 settembre, le cose più rilevanti che vanno fatte sono già scritte dalla A alla Z nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Giorgia Meloni dice che di questo piano dovranno essere negoziate delle modifiche; ma tutti sanno – e lei per prima – che le modifiche ottenibili, ammesso che ce ne siano, saranno assai marginali. Per il resto, tutti i partiti promettono abbassamenti incisivi delle imposte – sotto forma di flat tax, di riduzione del cuneo fiscale sulle retribuzioni, o altro –, ma sempre condizionati a un riassorbimento dell’evasione fiscale sulle cui modalità tutti i partiti restano nel vago; nessuno, poi, né a destra né a sinistra, propone la sola misura che sarebbe efficace a questo scopo, cioè la riduzione drastica della circolazione del contante.
In realtà, c’è una scelta tra due opzioni politiche ben distinte che non emerge con chiarezza dal dibattito pre-elettorale perché i leader dei diversi schieramenti non hanno il coraggio di esplicitarla, ma alla quale nei mesi prossimi nessun governo in seno alla UE potrà sottrarsi: fino a che punto siamo disposti a fare sacrifici per opporci all’aggressione russa contro l’Ucraina? Su questa scelta si è aperta una faglia che divide i sostenitori di ciascuno degli schieramenti politici maggiori: da una parte coloro che, inorriditi dalla malvagità con cui l’armata sgangherata del “macellaio di Mosca” (copyright di Joe Biden) sta martoriando un popolo confinante, sono pronti a fare anche sacrifici pesanti per dare il proprio contributo alla resistenza di quel popolo; dall’altra parte coloro che invece apprezzano alcune almeno delle ragioni del Cremlino, imputano qualche colpa agli ucraini e all’Occidente cui questi aspirano ad appartenere, e comunque non sono disposti né a patire un po’ di freddo né a stare un po’ più al buio per opporsi all’invasione. È la contrapposizione fra chi la considera un’aggressione contro un popolo che intende far parte dell’Occidente, quindi anche contro di noi, e chi la considera uno scontro fra estranei, in cui non dobbiamo lasciarci coinvolgere.
Il Centro-Destra è riluttante a prendere posizione in modo netto su questo punto non tanto per l’amicizia personale di Silvio Berlusconi con Vladimir Putin, e forse neanche per i legami organici emersi recentemente tra il partito di Matteo Salvini e quello del presidente russo, quanto perché probabilmente è più ampia nell’elettorato di destra la porzione di coloro che non intendono fare sacrifici per sostenere la resistenza ucraina. In qualche misura, però, una riluttanza ad affrontare apertamente la questione si osserva anche nel Centro-Sinistra, nella cui ala sinistra l’anti-atlantismo e l’anti-americanismo, pur sempre più minoritari, sono tuttora assai diffusi. Non parliamo del M5S, dove l’anti-atlantismo e l’anti-americanismo non sono affatto minoritari. Ma la questione non è stata posta in modo forte e chiaro neppure dai due leader del Terzo Polo, che pure son quelli cui maggiormente gioverebbe far leva sulle contraddizioni e le crepe interne all’elettorato delle due coalizioni maggiori, e soprattutto del Centro-Destra, sul tema del posizionamento internazionale dell’Italia: anch’essi, evidentemente, considerano controproducente parlare di sacrifici in campagna elettorale, sia pure per opporsi alle atrocità di una guerra di aggressione pericolosissima per la sicurezza dell’Europa intera.
Accade così che nel dibattito pre-elettorale la questione più drammaticamente attuale, quella dalla quale dipende tanta parte del futuro del nostro Paese, della sua sicurezza e dei suoi rapporti con l’Unione Europea e gli U.S.A., sulla quale gli elettori sono più profondamente divisi, venga elusa se non proprio ignorata, mentre si discute animatamente di grandi promesse alle quali in realtà ben pochi credono. E poi ci stupiamo se metà degli elettori non va a votare?
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