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Grazie Draghi La tragicomica parabola del leader Cinquestelle che ora invoca un patto con Berlusconi

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Una tripletta da Pallone d’oro per l’avvocato del populismo. Ora a Giuseppe Conte manca soltanto di lagnarsi per la mancanza di auto blu e per la riduzione dei vitalizi. Poi il sipario

louis-tsai, Unsplash La tripletta dell’avvocato del populismo è da Pallone d’oro. In tre giorni, l’ex premier sovranista diventato premier europeista e poi Piangina in Chief perché Renzi, Mattarella e Draghi lo hanno defenestrato dall’affaccio su Largo Chigi da dove aveva fatto più danni di Bertoldo, ne ha fatte tre una dietro l’altra da scompisciarsi dalle risate: tre giorni fa ha rivolto tredici domande a Renzi ma poi ha rifiutato di ascoltare risposte, l’altroieri ha proposto di fare le riforme costituzionali con Berlusconi e infine, ieri, ha annunciato che i Cinquestelle non andranno più in tv perché i vertici Rai non hanno lottizzato nessun esponente grillino nei telegiornali. Voleva il reddito di lottizzazione, il leader fortissimo di tutti i trombati Rai. Che tenero. A completare il testacoda ideologico dei Cinquestelle, ora che sono anche in attesa di entrare nel gruppo socialista europeo dopo aver bussato invano alle porte dei sovranisti e dei liberali, al leader Conte manca solo una protesta formale per il mancato rinnovo delle flotte di auto blu e per la riduzione dei vitalizi ai parlamentari. Queste performance da leader grottesco non sono le uniche: da quando l’avvocato di Volturara Appula è Presidente dei Cinquestelle ha perso ovunque fosse possibile perdere qualsiasi battaglia immaginabile, tanto da non essere nemmeno riuscito a eleggere i capogruppo del suo partito in Parlamento. È molto probabile che sia nella disfatta sui capigruppo sia sui tg Rai ci sia stato lo zampino di Di Maio, collega di analfabetismo democratico di Conte, ma almeno ragazzo scaltro e svelto. La parabola dell’avvocato del populismo, cui è rimasta devota soltanto la strana coppia formata da Marco Travaglio e Giuliano Ferrara, è la formidabile conclusione della storia tragicomica di un segnaposto scelto da Casaleggio per fare da vice ai due vicepremier Di Maio e Salvini, ma ben tenuto al guinzaglio da Rocco Casalino, il quale a un certo punto ha cominciato a credere alla sua stessa propaganda, sua di Casalino, e ora è finito a invocare un patto del Nazareno e la lottizzazione Rai pur di segnalare al pubblico la sua presenza. E ora, addirittura, per ripicca nei confronti di chi ha liberato la Rai dai suoi navigator, annuncia che i Cinquestelle non andranno più in televisione. Volesse il cielo! Ovviamente non sarà in grado di garantire nemmeno questo proclama stentoreo. Intanto, grazie Draghi.


È rimasto incastrato nella scatoletta di tonno, non ne può più uscire ma non riesce nemmeno a starci dentro. È la nemesi più bella del mondo quella di Giuseppe Conte. Lo hanno fregato a quel tavolo della spartizione della Rai cui si era appena attovagliato, con cravatta intonata alla camicia e pochette d’ordinanza, sicuro che la fetta di torta non gliel’avrebbe tolta nessuno come è probabile gli abbiano fatto credere tra una lasagna e l’altra alla festa nella villetta dell’autista di Goffredo Bettini dove c’era pure Carlo Fuortes.

L’accusa all’amministratore della Rai è di continuare la pratica della lottizzazione. Ma sapete perché? Perché lui non ci mangia, altrimenti il vecchio Cencelli sarebbe andato benissimo. Viene voglia di rimpiangere Di Battista che nella sua furia antipolitica aleno era coerente. Tre quarti di lottizzazione e un quarto di Draghi, ecco la miscela segreta delle nomine Rai: ecco perché l’avvocato ce l’ha con Mario Draghi, che gli ha tolto il Tg1, mandandoci Monica Maggioni – la cui nomina si può considerare una nomina draghiana in quanto fuori dai giri partitici – una delle professioniste più forti della Rai, già presidente dell’azienda, una lunghissima esperienza sul campo e già alla guida di Rai News24.


L’avvocato di se stesso, altro che popolo, non era mai apparso così furibondo come ieri, ha persino lanciato un proclama che farà piacere a molti ascoltatori: «Vorrà dire che, a partire da oggi, il Movimento 5 Stelle non farà sentire la sua voce nei canali del servizio pubblico, ma altrove». Figuriamoci, si accettano scommesse su una prossima partecipazione di uno dei suoi a qualche trasmissione, lo sanno bene che senza tv non sei nessuno, e La7 è una piccola utilitaria.


Dunque per il Movimento 5 stelle niente più Tg1, niente RaiNews24, dove viene promosso Paolo Pedrecca, vicino a Fratelli d’Italia. E niente Tg2 dove la destra ha imbullonato il sovranista Gennaro Sangiuliano. Meno che mai il Tg3, dove sbarca Simona Sala, che vanta ottimi rapporti con il Nazareno, che a sua volta lascia la poltrona al Gr a un altro professionista coi fiocchi, Andrea Vianello. Mentre Mario Orfeo, veterano del Tg1, del Tg2 e già amministratore delegato di Viale Mazzini, passa dal Tg3 alla direzione degli approfondimenti.


Maggioni ora dovrà ridare smalto al Tg1 diretto finora da Giuseppe Carbone, un volto nella folla, l’uomo scelto a caso dai grillini in epoca gialloverde – era il cronista del Tg2 che seguiva il Movimento ai bei tempi – quando Luigi Di Maio piazzava nelle posizioni apicali i 4-5 cronisti che conosceva, come se la Rai fosse la squadretta di scapoli contro gli ammogliati: ogni volta manca uno e si prende il primo che passa.

L’ex presidente del Consiglio (che c’è l’ha con Mario Draghi, tanto per rasserenare il clima nella maggioranza) è infuriato peggio dei Bettino Craxi e dei Ciriaco De Mita, che però all’epoca non solo teorizzavano la spartizione tra i partiti dei posti in Rai ma il più delle volte ci spedivano professionisti di prim’ordine. Conte vorrebbe fare il Marco Pannella ma è il vero doroteo di questo tempo politico, confermandosi un uomo bramoso di spazi di potere nel magma indistinto dei suoi progetti politici che infatti nessuno ha capito, tantomeno gli elettori puri e duri del Movimento, i seguaci del Beppe Grillo che alla Rai sputava in faccia, mentre l’avvocato s’imbestialisce perché gli hanno tolto la plancia di comando del telegiornale di punta premiando la professionalità di una giornalista donna (a proposito, quand’è stata l’ultima direttrice del Tg1?) come la Maggioni.


È una nemesi, dunque, che tocca chi voleva dare l’assalto al cielo invocando «fuori i partiti dalla Rai» ritrovandosi sul marciapiede della politica a strepitare perché non gli hanno dato un tg. E lo fa con la boria di chi crede di avere ancora le chiavi del Paese e non avverte che, forse, come diceva l’indimenticabile ex sindaca di Roma, «il vento sta cambiando, signori».



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