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L'ultimo volo di Alitalia: breve storia di un disastro dal 2008 al 2011







2.4.8 - Il salvataggio dell’Alitalia (continua da volume IV cap. III)


Alle elezioni legislative del 23Aprile 2008, come noto, aveva vinto il Centrodestra. Per conquistarsi gli elettori, Berlusconi[1] fece appello al patriottismo degli Italiani avversando qualsiasi cessione di Alitalia a compagnie straniere. Nel giugno del 2008 (l’11 giugno alla Camera e il 19 in Senato) venne approvato il salvataggio dell’Alitalia con una erogazione di 300 milioni. La "nuova" Alitalia doveva rimanere una compagnia italiana.

Ora per scongiurare il fallimento occorreva trovare una soluzione. Fu affidato il ruolo di advisor a Intesa Sanpaolo, affinché elaborasse un piano di salvataggio che fu denominato “Piano Fenice” e fu discusso Il 30 luglio. Il progetto prevedeva:

1) La creazione della “nuova Alitalia”, denominata good company, che avrebbe rilevato in tempi brevi gli asset operativi della compagnia di bandiera ed avrebbe dovuto fondersi con Air One.

2) La creazione di una “bad company” del valore prossimo stimato pari a 1 miliardo di euro, che sarebbe rimasta di proprietà dello Stato e che si sarebbe accollato i debiti, la liquidazione di azionisti e obbligazionisti, la maggior parte degli esuberi previsti.

Il 26 agosto nacque la “good company” cha si sarebbe chiamata Compagnia Aerea Italiana, CAI s.r.l., con un capitale sociale di poche migliaia di euro. Tra i soci fondatori anche la famiglia Benetton, il gruppo Aponte, la Ligresti, il gruppo Fossati, i Marcegaglia, i Caltagirone Bellavista, Marco Tronchetti Provera, il gruppo Fininvest ed Intesa Sanpaolo. La CAI nacque con un vincolo di “lock-up” sociale, che impegnava i soci a restare nel capitale della nuova compagnia almeno fino al 2013, vincolo che poteva essere rotto dal 65% del CdA, come confermato dallo stesso Tremonti, e con un possibile ritorno in Borsa nell’arco di tre anni.

Per l’aggravarsi della situazione debitoria a settembre su richiesta del consiglio di amministrazione il Tribunale di Roma dichiarò l’insolvenza ed impose l’amministrazione controllata secondo la legge Marzano. Augusto Fantozzi, nominato commissario Straordinario, ebbe il compito di privatizzare Alitalia.

Nel settembre 2008 la Compagnia Aerea Italiana, guidata da Roberto Colaninno, recapitò al commissario un’offerta per l’acquisizione di assets di Alitalia S.p.A., dando inizio a una lunga trattativa tra la CAI, il Governo e i Sindacati. I sindacati però non accettarono il contratto proposto e CAI ritirò l’offerta.

Il commissario Fantozzi ripeté l’invito a manifestare interesse per l’acquisto di uno o più rami di azienda. Le offerte pervenute furono deludenti ed allora i sindacati accettarono il piano inizialmente proposto da CAI, e firmarono l’intesa che avrebbe permesso la gestione della società alla CAI. - Questo anche perché l’Enac (Ente nazionale per l'aviazione civile), aveva dato l’ultimatum: tre giorni per un piano operativo, pena il ritiro della licenza di volo. Occorreva il consenso dall’Unione Europea per non doversi accollare 300 milioni di euro ottenuti precedentemente che potevano essere definiti aiuti di Stato. Sorge però nuovamente il problema dei sindacati: i rappresentanti autonomi dei piloti e degli assistenti di volo rifiutano di firmare il protocollo d’intesa che Letta ha presentato. Se non si fosse raggiunto ancora un accordo per Alitalia, salvo miracoli, era il fallimento.

CAI effettuò la sua offerta vincolante per l’acquisto di complessi di beni e di contratti del Gruppo Alitalia, garantendo l’assunzione di 12.500 dipendenti secondo il criterio dell’anzianità maturata in Alitalia.

Si trattava però di un’offerta, l’accordo vero sarebbe stato stipulato solo al ricorrere di precise condizioni: la direzione generale dei Trasporti e dell’Energia della Commissione europea non doveva richiedere la restituzione del prestito ponte da 300 milioni di euro deciso nell’anno precedente dal Governo Prodi, e l’Antitrust avrebbe dovuto dare l’assenso per convalidare la fusione tra Alitalia e Air One. La “nuova Alitalia” avrebbe avuto il monopolio su molte rotte nazionali, dove Alitalia e Air One avevano una quota di mercato superiore al 90%.

Questi vincoli furono rimossi, ad eccezione del prestito ponte di 300 milioni di euro, che la Commissione Europea considerò “un aiuto di Stato illegittimo e incompatibile con le regole del mercato unico”, imponendo all’Italia di adottare le misure necessarie per recuperare da Alitalia i fondi in questione. L’Unione Europea aveva pertanto riconosciuto la discontinuità tra Alitalia e CAI, e aveva dato il via libera alla vendita di Alitalia.

I soci CAI il 30 dicembre 2008, cambiarono il nome di CAI S.p.A. in “Alitalia – Compagnia Aerea Italiana”, di cui si mantenne il logo. Nuovi soci entrarono nella nuova Alitalia: gli azionisti erano 21 ed avevano sottoscritto quote di entità differente per entrare in società versando 450 milioni di capitale, ma impegnandosi ad arrivare a 850 milioni. I 63 principali azionisti erano Intesa San Paolo, Immsi (Roberto Colaninno), Atlantia (Gruppo Benetton) e Fare (Gruppo Riva).

Successivamente, all’inizio del 2009, CAI individuò come partner Air France – KLM, che entrò nella società acquistando il 25% della partecipazione versando 322 milioni di euro, diventando il primo azionista Alitalia, e con cui si stipulò un accordo che prevedeva la creazione di un sistema multi-hub a livello europeo.

L’acquisizione di Air One fu opinabile perché aveva una debole struttura finanziaria (quasi 900 milioni di debiti lordi complessivi) e una perdita netta del 2007 di 32 milioni, con un fatturato di 785 milioni. Nel Progetto Fenice Air One fu valutata 300 milioni di euro, da pagare per cassa, oltre ai debiti da trasferire alla nuova società per 450 milioni. In realtà CAI acquisì Air One per un importo inferiore a 300 milioni, diventando di fatto monopolista su alcune rotte, specie Italiane. L’Antitrust impose che CAI in pratica dovesse assicurare tutto il ventaglio dei prezzi offerto da Alitalia e da Air One, inoltre per ogni tratta della nuova compagnia un 10% dei voli avrebbero dovuto essere offerti al prezzo più basso praticato dai due vettori prima della fusione, ed una operatività su tutto il territorio nazionale.

Come in tutti i casi di fallimento, l’Alitalia in amministrazione straordinaria fu la Bad Company: veicolo societario in cui far confluire asset “tossici” e passivi di un’azienda, mentre in CAI “good company” erano convogliati tutti gli attivi (strutture, crediti, etc.).

CAI acquistò tutta la parte “buona” di Alitalia versando poco più di 1 miliardo di euro, mentre nella bad company rimasero 3,2 miliardi da pagare, di cui buona parte era dello Stato, ma molto era anche degli azionisti e degli obbligazionisti. Ù

Il contratto tra CAI e il commissario straordinario Fantozzi fu concluso alla fine del 2008: CAI pagò in contanti 427 milioni di euro su un totale di 1.052 milioni per gli asset di Alitalia; 100 milioni sarebbero stati pagati al closing previsto mentre 327 milioni furono il corrispettivo differito stimato provvisorio, che sarebbe stato pagato in due quote cash a sei mesi e a due anni dal closing.

Per la restante parte, di 625 milioni di euro, CAI si accollò debiti di Alitalia garantiti da ipoteca sugli aerei. Questa operazione fu autorizzata dal Ministro dell’economia e dello sviluppo, e anche dal Monitoring Trustee, l’Advisor incaricato dalla Commissione Europea di vagliare la legittimità dell’operazione Alitalia, che riconobbe la cessione come avvenuta a prezzi di mercato.

Infine, per quanto riguardava il personale, il Gruppo Alitalia all’inizio della procedura aveva 18.733 dipendenti, di cui 16.172 a tempo indeterminato (a questi vanno aggiunti altri 1.041 dipendenti delle due società di manutenzione). Dopo la cessione di attività a CAI, passarono alla nuova società 10.519 persone, mentre le altre 5.875 unità furono poste in cassa integrazione straordinaria a zero ore.

Prima dell’amministrazione straordinaria, Alitalia e Alitalia servizi avevano un totale di 81 filiali estere; dalla chiusura di queste sedi furono recuperati 46,6 milioni, mentre ne rimasero altri 24 milioni da recuperare. In base alle valutazioni conclusive della relazione del Commissario, la gestione dell’impresa si era conclusa positivamente, col mantenimento in misura soddisfacente dei livelli occupazionali. Tutte le attività furono dismesse in tempi estremamente rapidi a tutela dei creditori e con modalità che assicurarono risorse superiori ai valori di perizia, come fu confermato dal monitoring trustee nominato dalla Commissione Europea.

I primi anni di attività della nuova Alitalia - che iniziò i primi voli il 13 gennaio 2009 – confermarono l’orientamento verso una posizione di mercato diversificata rispetto a quella tradizionalmente perseguita dalla Compagnia. Nel 2010, il Gruppo Alitalia registrò ricavi per 3.225 ml. di euro (+14,1%), 23,4 milioni di passeggeri trasportati (+7,4%) e un risultato operativo di -107 ml. di euro, in miglioramento di 167 ml. di euro rispetto al 2009. Il risultato netto fu pari a -168 ml. euro, in progresso di 159 ml. di euro rispetto al 2009. La crescita era dovuta soprattutto alle attività intercontinentali e internazionali, che fecero registrare, rispettivamente, incrementi del 13,7% e 11,5% nel numero di passeggeri trasportati e del 32,9% e 15,3% in termini di ricavi.

Nel 2011 il fatturato di Alitalia fu di circa 3,4 miliardi a livello mondiale, di cui circa 1,4 miliardi a livello nazionale. A causa dei risultati economici deludenti alcuni soci italiani cominciarono a valutare la possibilità di uscire. Da parte sua Air France non sembrava avere fretta di acquistare: la compagnia francese aveva svalutato la propria quota di 40 milioni di euro, portando il valore della partecipazione da 338 milioni a 298 milioni di euro.

Il salvataggio dell’Alitalia si trascinò per anni con una perdita per l’erario di svariati miliardi di euro. In altri tempi le aziende in perdita fallivano. Ma con le partecipazioni statali le aziende erano valutate per la loro capacità di dare lavoro e di garantire una clientela al boss politico locale (che appianava le perdite con i soldi di tutti). I dipendenti di un’azienda in crisi diventavano ostaggio dei politici-sindacalisti, e costituivano una rendita di voti.

[1] Berlusconi intuì che molti italiani si riconoscevano e si identificano nelle aziende nazionali e che la loro vendita avrebbe creato sfiducia verso il sistema politico. L’Alitalia da azienda modello negli anni 1960/70 era arrivata sull’orlo del fallimento per insipienza, di manager e politici. Anche i sindacalisti avevano partecipato al banchetto e si videro premiati avendo ottenuto per i dipendenti un salario in media superiore del 20% ai loro colleghi europei ed in caso di licenziamento una buonuscita pari a 4 anni di stipendio. Il fallimento dell’Alitalia sembrava un classico esempio dell’incapacità dello Stato Italiano di gestire economicamente le aziende, e dell’affermazione della corrente sindacale corporativa, disposta a massimizzare i vantaggi per i propri iscritti, ma non per la collettività. Nella Russia dei Soviet del 1918 i sindacati operai, dopo avere preso il controllo delle società, per prima cosa aumentarono gli stipendi dei dipendenti, portando le aziende sull’orlo del fallimento, ma il PCUS e Lenin fecero subito capire che le aziende dovevano macinare ricchezza e utili per il popolo e non solo per i propri dipendenti



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