Torino 19 giugno 2016
da "Storia della I e II Repubblica dal 1994 al 2018 e dello Stato Sociale". di Silvano Zanetti
Volume X Cap. 2 di prossima pubblicazione come e-book
2.5 - Torino: vince la Destra col M5S e rottama la Sinistra storica
La sconfitta del PD a Roma e Napoli era prevista, ma non a Torino. Per questo bruciò. Bruciò perché non c’era nessuno a cui dare la colpa, non c’era un capro espiatorio che potesse giustificare un recupero degno di entrare nella lista delle più clamorose rimonte elettorali del Paese.
Al ballottaggio delle municipali i Cinquestelle ed alleati ottennero 19 sindaci su 20 (laddove erano presenti al ballottaggio). La presenza di un terzo polo (il Movimento 5 Stelle) aprì scenari inediti, e indusse ad alleanze estreme per far perdere il vincitore (relativo) del primo turno.
Il PD, ormai unica espressione del ceto medio moderato, poteva mediare e scegliere di volta in volta l'alleato, ma la regola doveva essere "mai combattere su due fronti". Il lancio della campagna del SI al referendum costituzionale già durante la campagna delle municipali apparve come un tentativo di spostare l'attenzione degli elettori dai problemi locali al voto costituzionale. In linguaggio di marketing quello che avrebbe dovuto essere un "aiutino" leader brand si tramutò in un insuccesso. L'arroganza non paga, ma nell'area dell'Italia settentrionale più omogenea dove i partiti tradizionali godevano ancora della fiducia degli elettori contro i populisti, la sconfitta del PD a Torino fece eccezione. Forse il ceto produttivo piemontese aveva intuito che con il PD la crescita e la speranza di rinascita economica non sarebbe stata possibile ed il dolce declino inevitabile?
Piero Fassino (45,4%, 165.880 voti) svolse il suo compito senza scandali, polemiche o storture. Non aveva fatto nulla, nei precedenti cinque anni, che lasciasse presagire gli esiti del ballottaggio, la perdita di 11 punti percentuali e una sconfitta che probabilmente gli causò qualche incubo notturno. Eppure, venne “rottamato” da una città che dimostrò di voler cambiare dopo 22 anni di amministrazione di sinistra. Una sorte che andava ben oltre i confini locali, un voto che aveva più destinatari: Fassino, il Partito Democratico, Matteo Renzi.
Renzi e Fassino persero[1] perché rappresentavano la “solita politica”, che magari poteva ancora tenere i “conti in ordine”, ma che non rispondeva più alle esigenze di un paese in crisi.
Onore al merito per Chiara Appendino (54,56%, 202.764 voti), che nei precedenti mesi seppe presentarsi come il nuovo che piaceva a tutti, al “popolo” e all’establishment, una figura che rappresentava allo stesso tempo la rottura del cliché che spesso era stato incarnato dai candidati a 5 Stelle del passato. Onesta come loro, ma anche preparata, sobria e rigorosa a differenza di loro.
Torino inoltre diede un’indicazione per il prossimo futuro che il Premier Renzi non poteva più ignorare. Il vento era cambiato davvero, e se l’elettorato era chiamato a scegliere, non sceglieva lui e lo fece in maniera compatta, insindacabile e anche impietosa. Lo fece nonostante le politiche attuate a livello nazionale fossero volte a conquistare anche un’ampia fetta di elettori moderati, nonostante i tentativi di allargamento a destra e i “partiti della nazionale”, nonostante gli ammiccamenti e le larghe intese. La rimonta di Appendino si realizzò proprio grazie al fatto che anche l’elettorato del Centrodestra, dopo l’uscita dai giochi del proprio candidato, preferì il M5S al PD. Senza dubbi né remore. Una scelta che in vista del referendum costituzionale di ottobre non poteva essere ignorata o sottovalutata.
[1] Si riporta uno stralcio dell’intervista a Piero Fassino, il Sindaco di Torino sconfitto: «Come sto vivendo questa sconfitta? Come una grande ingiustizia. Non mi preoccupo per me, ma per la città. Cinquestelle ha vinto con una sequenza di no. Ma che progetto ha per Torino? Non lo vedo. E la città rischia di tornare indietro... Avevo capito sin dal primo turno che il ballottaggio sarebbe stato difficile. Perché essendoci 27 elettori su 100, quasi tutti di Centrodestra, che avevano per le mani un voto libero, per loro era un'occasione molto ghiotta per estromettere il Centrosinistra che ha governato la città dal 1993. Ho fatto il possibile per evitarlo. Al primo turno abbiamo ottenuto la percentuale più alta di una grande città. Poi, certo, se il 95 per cento degli elettori di destra al ballottaggio vota per Cinquestelle, l'esito è scontato». - La sconfitta di Roma era stata messa nel conto, dal Pd. Quella di Torino no. «Perché è giudizio unanime che questa città è stata governata bene. Anche se io, a tutti quelli che mi dicevano "lei non avrà problemi" rispondevo: "Non è vero, perché soffia un vento che non tiene conto di come si è governato". Le racconterò un aneddoto illuminante. Domenica esco dal seggio, entro in un caffè e una signora mi ferma: "Sindaco, volevo ringraziarla per tutto quello che ha fatto. Grazie a lei Torino è diventata una città bellissima, piena di cose". Mi aspettavo che concludesse: e quindi l'ho votata. Macché. "Io ho votato la Appendino" mi ha detto. Ma perché? "Perché è bene cambiare dopo 23 anni di amministrazione di sinistra". Quando una ti dice così, cose vuoi ribattere?». - Lei pensa di essere stato travolto da un vento anti-renziano? «Da un vento anti-politica sicuramente. E questo vento, in tutta Europa, penalizza chi sta al governo, locale o nazionale". - La neosindaca, Chiara Appendino, l'ha ringraziata per quello che ha fatto in questi cinque anni. Le ha fatto piacere, immagino. "Certamente. Se poi avesse avuto l'onestà intellettuale di dirlo prima delle elezioni, e non dopo aver vinto, non sarebbe stato male. Durante la sua campagna elettorale sembrava che Torino fosse Calcutta».
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