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UCRAINA: DAL COLPO DI STATO DEL 2014 ALLA GUERRA

MAPPA STORICA UCRAINA


da e-storia ANNOXIII-Numero 3-Novembre 2023 Michele Mannarini

Sono trascorsi 18 mesi di una guerra che giornalmente causa morti di soldati e civili e distruzioni di strutture e infrastrutture economiche e civili. Non si intravvedono vie diplomatiche di uscita dal conflitto. Tra le parti non c’è accenno di dialogo. Inetta è l’ONU, mentre i paesi dell’Occidente e l’Unione Europea, da subito schiarati dalla parte ucraina, dopo l’intervento russo, sono prigionieri della logica del muro contro muro dichiarata dal presidente Zelensky e accettata dalla NATO e dal presidente degli Stati Uniti.

Nel testo che segue oltre a ripresentare i fatti più importanti accaduti dal 2014 in poi, riporto alcune proposte di pacificazione avanzate da importanti intellettuali e storici.

Il colpo di stato

Per comprendere ciò che è accaduto a Kiev nel febbraio del 2014 occorre fare una premessa di carattere generale. Dalla dichiarazione di indipendenza avvenuta nel 1991, dopo lo scioglimento dell’URSS, la Repubblica Ucraina è attraversata da due processi in netto contrasto tra loro. Da una parte, abbiamo le forze politiche filo occidentali e nazionaliste che si pongono i seguenti obiettivi: a) aderire all’Unione Europea e alla NATO; b) sul piano economico procedere speditamente verso la privatizzazione dell’economia e dei servizi; c) ucrainizzare sul piano culturale, politico e sociale, la neonata nazione. Geograficamente queste forze sono maggioritarie nel centro e nell’ovest del paese. Dall’altra, abbiamo le forze politiche e sociali russofone che perseguono altri obiettivi: a) mantenere l’alleanza con la “madre Russia”; b) controllare tramite lo Stato le risorse economiche del paese; c) difendere la loro specificità linguistica e culturale. Geograficamente, questo schieramento è maggioritario nella parte est (Donbass) e sud del paese, compresa la Crimea dove vi è una considerevole minoranza tatara. Il confronto e lo scontro tra questi schieramenti ha caratterizzato la vita politica del Paese, e ne è stato un momento importante, la cosiddetta “Rivoluzione arancione” del 2004, ma nessuno dei due è riuscito a prevalere in maniera definitiva. La situazione muta, quando il presidente, Viktor Janukovic, nel 2013, dopo aver mantenuto un certo equilibrismo tra le parti in lotta, “inaspettatamente” rinuncia a firmare l’accordo di associazione con l’Unione Europea. Lo scrittore Nicolai Lilin nel suo “La guerra e l’odio” (pag. 162) dice che, in realtà, Janukovic aveva richiesto un prestito personale alla UE e agli Stati Uniti di 15 miliardi di dollari, al fine di finanziare la sua campagna elettorale per stabilizzare il regime. Non avendolo ricevuto, con l’intenzione di fare pressione, decide di rinviare l’accordo.

Le proteste della piazza che iniziano, soprattutto a Kiev, prima, in forma spontanea e poi, in maniera organizzata dalle forze politiche nazionaliste (in particolare Pravyj Sektor – Settore Destro e Svoboda - Libertà) e che prendono il nome di Euromajdan, culminano, tra morti, oltre cento, e occupazioni militari dei palazzi governativi, nel febbraio del 2014, con la destituzione del presidente e la sua fuga. Lo storico Eugenio Di Rienzo nel suo testo “Il conflitto russo- ucraino”, in merito a questi avvenimenti, annota: “I partiti-milizia, dotati di una raffinata organizzazione paramilitare e profondamente pervasi da simpatie neonaziste, hanno costituito il braccio armato delle manifestazioni di Majdan (del tutto dissimili da quelle pacifiche della Rivoluzione arancione del 2004), assicurando la forza d’urto necessaria ad attuare il colpo di mano con il quale Janukovic è stato defenestrato. Insieme con essi, un ruolo decisivo per promuovere e gestire il cambio di regime è stato giocato dall’internazionale neofascista, composta da volontari bielorussi e polacchi affiancata da alcune associazioni, come l’International Renaissance Foundation ( attiva in Ucraina dal 1990), sostenute dall’imprenditore ungherese nazionalizzato statunitense George Soros, le cui disinvolte pratiche finanziarie si legano a un feroce sentimento antirusso, e infine da alcune organizzazioni non governative sospettate di agire in stretto contatto con l’amministrazione statunitense”. Evidentemente a Janukovic non è stato sufficiente dare continuità alla campagna anti russa, già in corso nel paese dai tempi del presidente Juscenko il quale aveva promosso la memoria dell’Holodomor come “genocidio degli ucraini” perpetuato dalla Russia e aveva riabilitato e proclamato “eroe nazionale dell’Ucraina” il padre del nazionalismo ucraino Stepan Bandera (1909/1959) capo dell’OUN (Organizzazione Nazionalista Ucraina) che era alleata con Hitler, durante il conflitto mondiale, e decretare, nello stesso febbraio, l’ucraino come unica lingua ufficiale, abolendo così la legge in vigore che riconosceva tale status anche al russo. Questa misura ha aperto una frattura sociale nella popolazione e alimentato i contrasti tra i due gruppi etnici (russi e ucraini) e le forze politiche in lotta.


La guerra civile

Nel marzo del 2014, la Crimea, abitata in stragrande maggioranza da russi e strategicamente importante per la flotta militare russa, vi è una sua base a Sebastopoli, è in fermento. Il suo Parlamento, ricordiamo che la Crimea ha sempre avuto uno statuto di autonomia, proclama l’indipendenza da Kiev. Un referendum popolare svolto successivamente, legittima la decisione. Nel mese di aprile, nell’area del Donbass, due regioni, il Donestsk e il Lugansk si proclamano Repubbliche indipendenti con conferma popolare referendaria svoltasi nel mese di maggio. L’Unione Europea e gli Stati Uniti denunciano l’occupazione russa della Crimea e non riconoscono la legittimità di tali referendum. Tale atteggiamento appare visibilmente in contrasto con quello assunto dagli stessi soggetti nel 2008, quando fu giudicata legittima la secessione del Kosovo dalla Serbia. Iniziano gli scontri militari tra le forze armate mandate dal governo di Kiev e le forze militari e civili delle regioni secessioniste. Mentre sul piano politico generale si delinea uno scontro tra gli “unionisti”, cioè i nazionalisti ucraini, da una parte, e i “federalisti”, in maggioranza russofoni, ma vi sono anche ucraini, dall’altra. Dalle elezioni presidenziali che si svolgono nel maggio 2014 alle quali non partecipano gli abitanti delle regioni secessioniste, esce vincitore l’oligarca Petro Porosenko, “definito nel maggio dal Dipartimento di Stato “our unsider Ukraine” ovvero” la nostra talpa in Ucraina” (Di Rienzo pag. 47). Il politologo americano John J. Mearsheimer circa la composizione del nuovo governo, scrive sul “Foreign Affairs”: “Nel nuovo governo pro-occidentale e antirusso di Kiev ci sono quattro membri di alto livello che possiamo legittimamente definire neofascisti”. Nello stesso maggio il Senato americano, sotto la presidenza di Barack Obama, approva un documento il “Russian Aggression Prevention Act of 2014” nel quale si dispone “un rafforzamento del fianco est della NATO e azioni di deterrenza contro nuove aggressioni Russe in Europa” (Di Rienzo ne indica dettagliatamente i punti a pag. 49/50). Per le azioni di deterrenza, sono programmate e organizzate diverse esercitazioni militari di terra, di mare e di aria nei paesi dell’Europa dell’est entrati nella NATO. Inoltre, nel luglio del 2014, viene redatto e approvato dal Congresso americano un rapporto intitolato “Ensuring a Strong U.S. Defense for the Future” nel quale tra l’altro “sono individuate tra le principali minacce alla sicurezza degli Stati Uniti non più la Corea del Nord, l’Iran e L’Iraq. Al loro posto compaiono, invece Russia e Cina, indicate come gli obiettivi primari di una futura risposta militare globale dell’apparato bellico americano che non esclude lo scenario di un confronto nucleare”. (Di Rienzo pag. 51). Questo nuovo orientamento della politica internazionale degli USA si traduce in un aperto e deciso impegno nella guerra in atto in Ucraina. La guerra alimentata da un odio etnico nei confronti dei russofoni, si mostra subito, violenta e distruttiva. Si incendiano paesi e villaggi, si ammazzano vicini e parenti perché schierati dall’altra parte. Emblematico è l’episodio che accade ad Odessa nel mese di maggio del 2014. Un raduno di russofoni viene attaccato dalla formazione nazionalista Pravj Sektor, la tendopoli dei filorussi e la Casa del sindacato dove gli scampati si erano rifugiati, vengono incendiate. Stime ufficiali parlano di 42 morti ma secondo un’altra fonte i morti sarebbero stati oltre 150. Mentre entrano in campo formazioni militari mercenarie da una parte e dall’altra, il governo di Kiev riceve supporti finanziari, assistenza logistica ed arsenali bellici dagli Stati Uniti e dal governo inglese. Il “Protocollo di intesa” che impone il disarmo e disegna una soluzione politica al conflitto, firmato tra le parti a Minsk, nel settembre 2014 e riproposto nel febbraio del 2015, con la mediazione di Francia e Germania, non sortisce effetti duraturi perché violato e disatteso da ambo le parti. La guerra si diffonde nel sud e nell’est del paese con migliaia di morti e feriti. Inizia anche un flusso migratorio verso i paesi vicini Russia, Polonia, Germania, Romania. Dal 2014 al 2021 in questo lungo conflitto a “bassa intensità”, secondo organizzazioni terze, vi sono stati oltre 14 mila morti tra soldati e civili. Il coinvolgimento dell’Occidente A partire dal 2016 gli Stati Uniti prendono una serie di iniziative che modificano i rapporti con la Russia sia sul piano dei trattati firmati per il contenimento dell’impiego di armi con potenzialità atomiche sia sul piano militare operativo nell’intervento in Ucraina. Per quanto riguarda il primo aspetto, nel 2019 con la presidenza Trump, gli Usa si ritirano in maniera unilaterale dal trattato firmato nel 1987 sull’impiego delle forze nucleari a raggio intermedio. Per quanto riguarda il secondo aspetto, si avviano iniziative che non vengono rese pubbliche sulla stampa internazionale ma di cui ne parla in modo analitico il politologo Benjamin Abelow nel suo testo “Come l’occidente ha provocato la guerra in Ucraina” nelle pagine 24/26. Al termine della descrizione di queste iniziative Abelow riassume: “Nel periodo 2017/2021 assistiamo alla confluenza di due tipi di attività militari vicino al confine russo. In primo luogo, le relazioni militari bilaterali, che hanno comportato massicce spedizioni di armi letali, esercitazioni congiunte ucraino-occidentali di addestramento e interoperabilità all’interno dell’Ucraina e di dispiegamento di missili con capacità offensiva in Romania, e a seguire in Polonia. In secondo luogo, le attività militari della stessa NATO, tra cui il lancio di missili volto a simulare attacchi contro obiettivi all’interno della Russia. A peggiorare le cose, questi attacchi simulati provenivano da un paese della NATO al confine della Russia (dall’Estonia) che a sua volta era stato ammesso nell’Alleanza violando le rassicurazioni precedentemente date a Mosca. E tutto questo è avvenuto mentre si ribadiva che l’Ucraina sarebbe entrata nella NATO” (pag. 27/28). Il riferimento all’Estonia, quale paese della NATO, mi consente di recuperare un altro aspetto nella ricostruzione della sequenza dei fatti che hanno portato alla reazione dell’invasione russa della Ucraina. E cioè, dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia (1990), dagli Stati Uniti erano state date rassicurazioni, purtroppo solo orali, ma le cancellerie di tutti i paesi europei le confermano, che l’Alleanza atlantica non si sarebbe allargata ai paesi dell’est Europa. Invece nel giro di pochi anni sono entrati nella NATO, nel 1999 (Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria) e nel 2004 (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia) mentre nel 2008 nel “memorandum di Bucarest” l’Alleanza annuncia che intende allargarsi alla Georgia e all’Ucraina. Tutto ciò, nonostante le critiche di noti politologi e diplomatici americani (tra gli altri, Henry Kissinger, George Kennan, Thomas Friedman) rivolte ai presidenti americani e ai segretari generali della NATO. Secondo loro, infatti, tale espansione sino ai confini della Russia invece di consolidare un’area di pace, avrebbe accresciuto nel tempo, nei leader russi, la “percezioni di accerchiamento”. Ed è quello che viene affermato in diverse occasioni, sino al 2021, dal ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov. Inoltre lo stesso, a più riprese, afferma che la Russia non potrà accettare che l’Ucraina entri nella NATO perché si installerebbero in essa basi missilistiche che metterebbero in crisi la sicurezza nazionale mentre sarebbe accettabile una sua dichiarata neutralità, come la Finlandia o L’Austria. Ma queste richieste sono respinte dalla NATO e dai presidenti americani, Trump prima, e Biden dopo. Lo stesso segretario di Stato Blinken dopo i falliti negoziati dichiara: “Non c’ è alcun cambiamento. Non ci sarà alcun cambiamento” (Abelow pag. 29). Nell’aprile del 2019 diventa presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky, giovane attore noto nel paese per una serie televisiva nella quale come semplice cittadino, combatte la corruzione e il malaffare assai diffusi nel paese. Il partito da lui fondato denominato come la serie “Servire il Popolo” conquista anche la maggioranza parlamentare, nelle elezioni del luglio del 2019, con il 44% dei voti. Nel suo programma elettorale si indicano questi obiettivi: a) perseguire la corruzione e il malaffare; b) proseguire nella liberalizzazione dell’economia, riducendo il ruolo e il peso degli oligarchi; c) impegno per la pacificazione con le regioni secessioniste; d) per quanto riguarda l’ingresso del paese nella Unione Europea e nella NATO si afferma che la decisione sarebbe stata presa con un referendum. Dopo i primi timidi passi di approccio con Mosca circa la Crimea, Zelensky assume una posizione intransigente e ripete in interviste e proclami i suoi due nuovi obiettivi: a) L’Ucraina entrerà nella NATO e b) la Crimea come il Donbass saranno riconquistati. Al tempo stesso rilancia nel paese e tramite la stampa internazionale nel mondo, una campagna russofobica. I messaggi sono: “Putin è il nuovo Hitler”; “Putin si appresta a invadere l’Ucraina”. Nel luglio del 2021 a Bruxelles, come conferma dei buoni rapporti tra USA e Ucraina, viene firmato lo “Schema di difesa strategica USA-Ucraina”. Scrive Abelow: “Esso traduce la dichiarazione della NATO in una decisione politica bilaterale (Stati Uniti-Ucraina) per modificare i fatti militari sul campo a partire da subito, a prescindere se l’Ucraina sia o meno un membro della NATO. Nove settimane dopo quella firma, il segretario di Stato americano e il ministro degli esteri ucraino hanno sottoscritto un documento simile, la Carta del partenariato strategico USA-Ucraina. Questo documento fa riferimento alle dichiarazioni del 2008 e del 2021 e rende operative tali dichiarazioni da subito, indipendentemente da ciò che accade con la NATO” (Abelow pag. 27). Nel corso del 2021 mentre la guerra civile si allarga, il presidente Zelensky approva sanzioni contro le Tv a lui ostili e fa appello ai paesi dell’Unione e agli Stati Uniti per avere materiale bellico e armi efficaci da impiegare nel conflitto. Nel dicembre “La Russia invia a USA e NATO le proprie richieste per garantire la stabilità strategica: ritiro delle infrastrutture militari sulle posizioni del 1997, prima dell’espansione della NATO; fine dell’espansione NATO in Europa orientale, Caucaso e Asia centrale; divieto di schierare missili a corto e medio raggio in aree dalle quali si possono raggiungere i reciproci territori; divieto di dispiegare armi nucleari al di fuori dei propri territori. NATO e USA rispondono di essere pronti a dialogare ma non a trattare” (Cardini/Mini pag.157). Nei primi giorni di febbraio 2022, una nuova riunione dei quattro paesi firmatari degli accordi di Minsk (Ucraina, Francia, Germania e Russia), svolta a Berlino, si conclude con un nulla di fatto. L’invasione russa

Il 21 febbraio 2022 la Duma russa riconosce le autoproclamate Repubbliche autonome di Donetsk e Lugansk con la firma di un trattato di amicizia e assistenza. Il giorno successivo i leader delle stesse repubbliche si appellano a Vladimir Putin in qualità di capo della Federazione Russa chiedendo di intervenire contro l’aggressione delle forze ucraine. Il 24 febbraio Putin comunica che ha deciso di condurre una “Operazione militare speciale” in Ucraina. È l’inizio dell’invasione. Non è il caso qui, ora, di seguire l’andamento delle operazioni belliche, comunque dagli esiti alterni. Di fatto, esse si manifestano massicciamente distruttive verso le strutture delle città: università, caserme, ospedali, ponti, mercati e palazzi civili. Mentre si susseguono uccisioni, stupri e distruzioni, nelle quali si distinguono le formazioni mercenarie e paramilitari presenti in ambo i fronti (il battaglione Azov dalla parte ucraina e la compagnia Wagner da parte russa). Gli USA e l’Unione Europea condannano apertamente e, da subito, l’aggressione, e assumono sanzioni economiche e ritorsioni politiche nei confronti della Russia. Le conseguenze di tali sanzioni, si riflettono nei mesi successivi sull’economia dei paesi della U.E. essendo questi i maggiori acquirenti delle materie prime energetiche vendute dalla Russia. Come annota il filosofo Edgar Morin nel suo “Di guerra in guerra”, a questo punto “ci sono tre guerre in una: la continuazione della guerra interna fra potere ucraino e province separatiste; la guerra russo-ucraina; una guerra politico-economica internazionalizzata antirussa dell’Occidente animata dagli Stati Uniti” (pag. 93). Nel corso dei 18 mesi che sono trascorsi dal giorno dell’invasione, abbiamo assistito ai seguenti processi. Sul piano strettamente militare, verso il governo di Kiev, vi è stato un continuo e crescente flusso di finanziamenti in denaro, raggiungendo diversi miliardi di dollari, soprattutto, dagli Stati Uniti, per acquistare armi, mantenere l’esercito, aiutare i civili; inoltre, sono cresciuti i rifornimenti di materiale bellico, da parte di molti paesi dell’Unione Europea e da parte della Gran Bretagna dotando Kiev di armi sempre più moderne ed efficaci (carri armati, droni, elicotteri, lanciamissili e cannoni). Sull’altro fronte, Putin, dopo aver visto fallire la speranza di risolvere la guerra in tempi brevi conquistando Kiev, ha dovuto ripiegare e indirizzarsi verso il sud e l’est del Paese, inoltre ha dovuto far ricorso all’arruolamento di nuove forze militari reclutate da ogni parte della Federazione e liquidare la compagnia di soldati mercenari Wagner, non più affidabile nei suoi confronti. La situazione attuale sul campo (settembre 2023) è di relativo equilibrio delle forze. Sul piano delle relazioni politiche internazionali, la Russia non è stata isolata dalla comunità internazionale come avrebbe voluto Zelensky, ma attori come la Turchia, ma soprattutto, la Cina e l’India hanno mante-nuto un profilo basso nelle loro dichiarazioni e hanno continuato ad avere rapporti economici e politici con la Russia. La radicalizzazione del conflitto militare è stata alimentata da una campagna, sviluppata anche sui media nazionali e internazionali, di criminalizzazione del nemico, portata avanti da ambo le parti. Se da una parte le autorità russe hanno continuato a “propagare il mito della denazificazione dell’Ucraina”, dall’altra, il governo di Kiev “ha proibito nel paese la letteratura russa, Puskin, Tolstoj, Dostoevskij, Cechov e anche Solzenicyn e la diffusione della musica dei compositori russi”. Annota Morin, nel suo testo: “L’attribuzione di una responsabilità collettiva, e peggio, di una criminalità collettiva è caratteristica del delirio tipico dell’isteria di guerra” (pag. 34) ed è ciò che si è diffuso in questi mesi ed è ciò che tiene chiuse le porte per ogni possibile trattativa di pace. Quale futuro? Ma un sano realismo politico, onde evitare una escalation militare verso un conflitto nucleare che porterebbe alla distruzione dell’umanità intera, impone l’apertura di trattative diplomatiche di risoluzione del conflitto. Le questioni sul tavolo sono evidenti: l’adesione dell’Ucraina alla NATO; il futuro della Crimea e delle Repubbliche del Donbass; la ricostruzione del paese. Per quanto riguarda il primo punto, la maggioranza dei politologi e dei diplomatici concorda nel sostenere che è una barriera insormontabile alla risoluzione pacifica. Essa va esclusa. Scrive Abelow: “Dobbiamo domandarci: come reagirebbero i leader statunitensi se la situazione fosse capovolta, ovvero se la Russia o la Cina, per esempio, svolgessero azioni militari vicino al territorio statunitense? Come reagirebbe Washington se la Russia stringesse un’alleanza militare con il Canada e poi piazzasse basi missilistiche a cento chilometri dal confine degli Stati Uniti? Che cosa accadrebbe se la Russia usasse quelle basi per condurre un addestramento a fuoco vivo ed esercitarsi a distruggere obiettivi militari all’interno dell’America? I leader statunitensi accetterebbero dalla Russia rassicurazioni verbali sul fatto che le sue intenzioni sono benevole?” (pag. 31). Ovviamente no. Ricordiamo poi, la “crisi dei missili” del 1962. Di fronte alla dislocazione di missili statunitensi in Turchia, l’URSS rispose con l’invio di missili a Cuba. La tensione internazionale rientrò solo con il ritiro delle iniziative da entrambe le parti. È quello che si chiede ora agli Stati Uniti: “non incaponirsi sull’esistenza di un diritto sovrano dell’Ucraina di aderire alla NATO” giacché tale diritto non sarebbe riconosciuto al Messico se decidesse di aderire a un’alleanza militare guidata dalla Cina. Come sappiamo, gli interessi delle potenze prevalgono sui diritti dei paesi satelliti. Il politologo Noam Chomsky, nel suo “Perché l’Ucraina”, sostiene quindi, che “l’indipendenza dell’Ucraina potrebbe essere garantita da uno statuto di neutralità e dall’integrazione nella Unione Europea”. Anche il Edgard Morin conviene su questa considerazione. Sulla Crimea, lo scenario è più logico. Dopo essere stata per sessant’anni ucraina, ricordiamo che il presidente dell’URSS Nikita Krusciov la “regalò” a Kiev nel 1954, quando la Repubblica Ucraina era parte dell’URSS, abitata in larga maggioranza da russi (84% russi, 12% tatari, 4% ucraini), da sempre con statuto autonomo, non può che affermarsi come Repubblica indipendente da Kiev. Per le regioni secessioniste del Donbass, onde evitare ritorsioni repressive e oppressive sulla popolazione

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