Xi Jing Ping: il boss del PCC e della Cina
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Ritorno al passato
Xi Jinping è stato formalmente rieletto Segretario generale del Partito comunista cinese (Pcc). Una riconferma che apre la strada a un terzo (storico) mandato di Xi come presidente cinese, oltre a un consolidamento senza precedenti del suo potere: dal nuovo Comitato permanente del Politburo, composto da fedelissimi, all’inaspettato allontanamento dell'ex presidente Hu Jintao dalla cerimonia di chiusura.
Non solo: con un emendamento allo Statuto del Partito (il primo nel 2017), Xi ha cementato il suo posto di leader e la sua ideologia come principio guida del futuro sviluppo del Paese in un parallelismo evidente con Mao, il fondatore della Repubblica popolare cinese (Rpc).
Un brusco risveglio?
Eppure, nonostante il potere quasi incondizionato, nel prossimo mandato di Xi non mancheranno le sfide. Per raggiungere il “Sogno Cinese”, che prevede la modernizzazione del Paese entro il centenario della Rpc (2049), la Cina dovrebbe infatti crescere a ritmi molto sostenuti. E se prima della pandemia l’economia cinese cresceva tra il 6 e l’8%, oggi fattori strutturali e congiunturali la frenano.
Sul primo versante giocano contro Pechino il rallentamento della produttività e il forte indebitamento del Paese (275% del PIL il debito totale). Quest’anno, inoltre, la crisi immobiliare, i frequenti lockdown e le conseguenze dell’invasione dell’Ucraina hanno ulteriormente smorzato le prospettive di crescita, che secondo il FMI si fermerà al 3,2%.
Xi lo sa bene e, forse anche per questo, ha ritardato di una settimana la pubblicazione dei dati economici del terzo trimestre.
“Solo” trip
Nel frattempo, in Europa i Paesi dell'Unione faticano a calibrare il loro approccio con la superpotenza. Se da una parte l’Ue sente il dovere di cooperare con la Cina per affrontare problemi comuni (come il cambiamento climatico), dall’altra i leader europei non possono ignorare la forte e crescente dipendenza dalle catene di approvvigionamento di prodotti e materie prime cinesi, terre rare in primis.
Una questione che sta mettendo a dura prova l’unità dell’Ue. Tanto che, mentre la Lituania continua a subire l'embargo commerciale cinese per i suoi legami con Taiwan, la settimana prossima Scholz si recherà a Pechino per discutere di affari. E lo farà da solo, malgrado Macron gli avesse proposto di inviare una delegazione congiunta.
E c’è già chi teme che, dopo la Russia, Pechino possa essere il prossimo “partner inevitabile” cui Berlino stia scegliendo di legarsi mani e piedi.
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